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Netflix per il Gay pride, la campagna ‘Rainbow is the new black’ è un autogol della comunità Lgbt

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Ma che peccato. Un’occasione mancata. Sia detto senza alcun secondo fine, però quando vediamo una campagna che potenzialmente poteva essere sviluppata in modo più efficace, ci piange il cuore. Il nostro vecchio e malandato cuore di pubblicitari di un’altra generazione. Ma qui forse (probabilmente) il marketing dell’azienda che ha firmato la comunicazione, cioè Netflix, ha fatto la voce grossa imponendo precise linee guida.

Netflix non è uno sponsor qualsiasi. Ha all’attivo numerosissime fiction e film gender friendly, quindi può permettersi di fare la voce grossa come canale di intrattenimento più sensibile al nuovo target: le comunità Lgbt. Ai creativi devono aver detto: «Fate quello che volete, purché ci siano dentro i nostri prodotti». Non si è accontentato cioè di comparire come firma in basso a destra, come si usa fare. Ah, quant’è lontana l’epoca in cui le marche non “sporcavano” le campagne sociali con i propri intenti commerciali!

E comunque i pubblicitari, prontamente, han dovuto ubbidire. Un po’ di coraggio in più ci sarebbe piaciuto. Ma vabbè. Tutto si configura come una risposta alle recenti uscite del ministro della Famiglia e della Disabilità Lorenzo Fontana. Qual migliore occasione per rispondergli se non l’imminente Gay pride 2018 in programma a Milano per il 30 giugno? E così, con lo slogan Rainbow is the new black, Netflix ha tappezzato la fermata della metropolitana linea 1 di Porta Venezia a Milano con personaggi tratti dalle più gradite serie tv come Orange is the New Black e  Sense8. I poster che li raffigurano recitano: “Piper e Alex non esistono”, “Nomi e Amanita non esistono”, ecc.

È qui l’autogol, l’occasione mancata. Certo che non esistono! Sono personaggi della fiction! Altra cosa sarebbe stata contrapporre la fiction alla realtà mettendo un bell’asterisco che rimandasse a persone vere (perché di quelle si deve parlare) e completando il messaggio monco con*invece Paola Rossi e Carla Bianchi, Giorgio Verdi e Ugo Neri, ecc. esistono eccome.

Usando nomi veri di persone vere che fanno coming out e rispondono per le rime al ministro. Insomma, non si può fare un product placement all’incontrario inserendo la fiction nella realtà quando la realtà non è affatto una fiction. Che peccato, veramente. Sarà

per un’altra volta. Tanto, le coppie gay continueranno a esistere fino allora. Almeno spero.

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