La notizia è dell’8 giugno scorso, ma la ricerca dei precedenti mi ha richiesto un po’ di tempo. L’Onorevole Di Maio è il primo inquisito del nuovo governo, quello che lui stesso aveva definito il primo a non contare indagati tra i suoi membri. Il reato contestato all’Onorevole Di Maio è la diffamazione e colpisce che le querele (e le condanne) per questo reato accompagnano da sempre il Movimento 5 Stelle. Beppe Grillo, fino all’anno scorso Presidente, Garante e proprietario del blog allora indicato come organo ufficiale del Movimento, è stato querelato varie volte per diffamazione: ad esempio nel 2003 per l’insulto di “vecchia puttana” (rabbrividisco nello scriverlo, ma è doveroso ricordare) al Premio Nobel e Senatrice a vita Rita Levi Montalcini, all’epoca già novantenne. In quel caso Beppe Grillo, ammettendo il reato patteggiò la condanna. Nel 2017 il comico è stato condannato in secondo grado per diffamazione nei confronti del Professor Franco Battaglia. Altri procedimenti, alcuni esitati in condanne, sono stati aperti a seguito di denunce sporte da personaggi politici diffamati dal comico. Gli episodi di diffamazione, alcuni dei quali precedono la fondazione del Movimento, rappresentano evidentemente un modus operandi di Beppe Grillo.

Una sommaria lettura della stampa quotidiana rivela che Beppe Grillo e l’Onorevole Di Maio non sono i soli membri autorevoli del Movimento denunciati per diffamazione: questo reato apparentemente è un incidente di percorso abbastanza comune nella propaganda del Movimento, che si muove sulla denigrazione dell’esistente e spesso trascende. Occorre quindi chiedersi quale sia la logica di questa propaganda: in che modo cioè la diffamazione costituisca un messaggio, evidentemente di successo. Dipingere l’esistente come peggiore di quanto non sia è una vecchia strategia propagandistica, che funziona solo finché praticata dai banchi dell’opposizione; ma il Movimento è stato capace di rinnovarla e potenziarla. In pratica il messaggio del Movimento 5 Stelle suggerisce a ciascun potenziale elettore che lui è ingiustamente penalizzato da un sistema corrotto occupato da persone disoneste. Al disoccupato il Movimento suggerisce che l’impiegato ha ottenuto il suo posto di lavoro grazie a raccomandazioni, imbrogli e coorsi truccati; all’impiegato suggerisce la stessa cosa nei confronti del capoufficio, a questi nei confronti del dirigente, e così via. I vertici del Movimento per mantenere il punto attaccano le persone più in vista dell’intera società: i capiufficio di tutti i capiufficio. Solo così si possono spiegare ed acquistano una logica gli attacchi apparentemente dissennati ad un anziano e prestigioso Premio Nobel. Perché è ovvio che se l’intera società è corrotta e ogni persona al di sopra di noi appartiene alla kasta, allora successo e riconoscimenti dimostrano e si spiegano soltanto con l’appartenenza ed anzi il ruolo prioritario all’interno della kasta.

La propaganda del Movimento, oltre a macchiarsi con frequenza del reato di diffamazione, è ingenuamente anarcoide: in qualunque sistema, anche in quello governato dal M5S, ci saranno impiegati e capiufficio e i primi ambiranno al posto dei secondi. La lotta contro la diseguaglianza sociale non deve produrre l’odio sociale, ma ridurre le disparità economiche. A molti elettori evidentemente l’insulto contro l’anziano Premio Nobel o il prestigioso docente universitario non dispiace, o comunque non dispiace abbastanza da scoraggiarli dal votare il Movimento; però è importante notare, stigmatizzare e ricordare questi comportamenti, perché una coscienza critica perduta si può ritrovare, e perché nessun cambiamento in meglio della società si può ottenere dalla denigrazione di ciò che funziona, per non dire di ciò che è eccellente.

P.S. In questo caso l’usuale “e allora il Pd?” non funziona: né Renzi, né Bersani sono usi insultare i Premi Nobel.

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