La chemio dopo l’intervento potrebbe essere evitabile per il 70% delle donne colpite dalla forma di tumore al seno più frequente, se si utilizzasse un test su 21 geni. È la conclusione di un maxi studio Usa di fase III, presentato a Chicago al meeting annuale dell’American Society of Clinical Oncology (Asco) nella sessione plenaria più importante. Il lavoro ha arruolato 10.273 donne con il tipo più comune di cancro al seno, cioè con recettori ormonali positivi, Her2 negativo, e con linfonodi ascellari negativi. E gli autori sono arrivati alla loro conclusione, che potrebbe in breve cambiare la pratica clinica – sostengono – perché non hanno trovato alcun miglioramento nella sopravvivenza libera da malattia quando la chemioterapia era somministrata in aggiunta alla terapia ormonale. “Questo significa che possiamo limitare la chemio al 30% delle donne per le quali già possiamo prevedere che ne trarranno beneficio”, dice l’autore principale dello studio, Joseph A. Sparano, direttore Clinical Research dell’Albert Einstein Cancer Center and Montefiore Health System di New York. “Questi dati – commenta Harold Burstein, esperto Asco – forniscono l’evidenza a dottori e pazienti che possono usare informazioni genomiche per decidere al meglio sui trattamenti nelle donne ai primi stadi del cancro. Significa che migliaia di donne potranno evitare la chemio con tutti i suoi effetti collaterali pur mantenendo eccellenti risultati a lungo termine“.

Il trial, condotto con fondi federali in Usa, ha utilizzato un particolare test – ‘Taylor X‘ – che valuta l’espressione di 21 geni tumorali. “Metà delle donne colpite da cancro al seno soffrono del tipo di tumore” protagonista dello studio, evidenzia Sparano. “Prima del Taylor X c’era incertezza sul miglior trattamento per le pazienti con un punteggio medio di rischio valutato in base a un altro esame. Il trial era destinato a chiarire questa incertezza e ha dato una risposta assai definitiva”, assicura l’esperto. “Ogni donna con tumore iniziale al seno dai 75 anni in giù – precisa- dovrebbe dunque avere la possibilità di sottoporsi al test e discutere con il medico riguardo all’opportunità della chemioterapia dopo l’intervento”.

Il Taylor X è stato creato sul modello della biopsia tumorale. Tipicamente le donne che ottenevano un basso punteggio ricevevano soltanto la terapia ormonale, quelle con alto punteggio ricevevano anche la chemio. Ma gli effetti collaterali del trattamento possono essere significativi. Fra le donne arruolate nello studio, 6.711 avevano un punteggio medio di rischio e sono state destinate in maniera casuale a ricevere solo l’ormonoterapia oppure anche la chemio. Il primo obiettivo era la sopravvivenza libera da malattia: da una valutazione a 7 anni e mezzo di follow-up si è visto che l’-ormonoterapia non era meno efficace se somministrata senza chemio. A 9 anni i risultati delle due strategie terapeutiche erano ancora praticamente identici, indicando che non c’era beneficio nell’aggiunta della chemio. Un altro importante risultato è stato l’identificazione del gruppo che invece ha ottenuto benefici dalla chemio: donne di 50 anni o più giovani, che avevano un punteggio medio nel test. Le donne ad alto rischio di recidiva, invece, secondo i dati raccolti dagli scienziati hanno mostrato un tasso di ricaduta a distanza del 13% nonostante la cura combinata con chemio e ormonoterapia. E questo risultato, concludono gli autori, mette in evidenza la necessità di sviluppare cure specifiche per questo gruppo di donne.

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