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Fatture false per sponsorizzazioni in Formula 1: evasi 50 milioni e arrestato consulente finanziario

Svelata dagli uomini della Guardia di Finanza anche una attività di riciclaggio transnazionale fondata su flussi di denaro che dall’Italia, passando da Londra, arrivavano fino in Cina e messa in atto con la complicità di imprenditori cinesi
Fatture false per sponsorizzazioni in Formula 1: evasi 50 milioni e arrestato consulente finanziario
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Un giro di fatture gonfiate per sponsorizzazioni nel settore della Formula 1, con lo scopo di evadere il fisco per almeno 50 milioni di euro con anche una parallela attività di riciclaggio transnazionale fondata su flussi di denaro che dall’Italia, passando da Londra, arrivavano fino in Cina e messa in atto con la complicità di imprenditori cinesi. È il meccanismo scoperto dalle indagini coordinate dal pm milanese Elio Ramondini e condotte dai Finanzieri del Gruppo di Milano che oggi ha portato in cella Davide Castello, originario del Veneto, iscritto all’Aire ed emigrato a Londra.

Dalle indagini, denominate operazione ‘Ghost Castle’, è emerso un articolato sistema di frode fiscale organizzato attorno a sette società italiane, con sedi a Milano e a Roma, designate dall’organizzazione criminale come soggetti economici utilizzati per emettere fatture per operazioni inesistenti nel settore delle sponsorizzazioni sportive. Del sistema hanno beneficiato oltre 30 società su tutto il territorio nazionale, che hanno annotato nelle loro scritture contabili appunto false fatture per quasi 50 milioni di euro, abbattendo significativamente la propria base imponibile.

Le ricostruzioni contabili e bancarie svolte dalle fiamme gialle hanno permesso di accertare un sistema di sovrafatturazione pari a oltre l’80% dell’importo indicato nelle fatture fittizie, confluite poi nelle dichiarazioni fiscali presentate per gli anni dal 2012 al 2016 dalle imprese beneficiarie. Sul versante finanziario, lo schema prevedeva l’integrale pagamento della fattura falsa, a cura dell’impresa beneficiaria, con un bonifico bancario addebitato sul proprio conto aziendale. Successivamente tali disponibilità finanziarie erano trasferite su rapporti bancari inglesi, intestati a imprese con sede a Londra e amministrate dal consulente finanziario che, per ostacolare l’identificazione delle somme, ha provveduto a trasferirle poi su conti correnti intestati a società con sede in Cina, operanti nel settore del commercio internazionale. Ottenuto l’accreditamento, i rappresentanti delle imprese cinesi hanno autorizzato i propri connazionali in Italia (titolari a loro volta di micro-aziende sparse tra Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto) a consegnare il denaro contante, raccolto all’interno della propria comunità, nelle mani degli indagati di nazionalità italiana. Le somme sono state impiegate per consentire la retrocessione in contanti nei confronti delle imprese beneficiarie delle false fatturazioni che hanno ottenuto il ristoro dell’80% del bonifico bancario originariamente disposto.

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