“Populismo sindacale e sindacalismo politico”. Il giorno dopo il fallimento del tavolo ministeriale tra sindacati e ArcelorMittal, capo cordata di AmInvestco, aacquirente di Ilva, Carlo Calenda ce l’ha con Cgil, Cisl, Uil e Usb per il mancato accordo con la cordata che entrerà in possesso degli stabilimenti attualmente in amministrazione controllata. Il naufragio dell’intesa viene definito “incomprensibile” dal titolare del ministero dello Sviluppo Economico perché “avevamo messo in piedi un meccanismo per il quale non solo nessuno sarebbe stato licenziato ma a tutti sarebbe stato offerto un posto a tempo indeterminato e gli stessi diritti e retribuzioni del contratto precedente”, dice a La Stampa.

Parole che innescano le risposte del governatore della Puglia, Michele Emiliano, e del segretario della Cgil, Susanna Camusso. Per la sindacalista il ministro “non merita replica” perché “confonde il giudizio di merito sulle proposte che fa con il fatto che rappresenta un dissenso nei suo confronti”. Mentre il governatore della Puglia spiega: “Ieri non ho detto nulla: volevo che tutta l’Italia capisse che Calenda è andato a sbattere contro un muro di cemento armato senza che nessuno lo aiutasse a fallire – dice – Ha fallito perché non ha una percezione esatta di quello che succede all’Ilva, come probabilmente non ce l’ha anche di altre vertenze che non ha risolto”. Controreplica di Calenda, che la butta sullo scontro frontale con il governatore, come già accaduto proprio sull’Ilva e sul Tap: “Emiliano è quello che è. Una mattina vuole chiudere Ilva e la mattina dopo incontra Mittal. Un giorno accusa il Governo di essere al soldo delle lobby e poi richiama Renzi alla correttezza. Ma il problema non è lui. È il Pd che lo tollera, lo blandisce e non dice una parola“.

Nell’intervista al quotidiano torinese, Calenda aveva avvertito Lega e M5s, per i quali si apre “immediatamente un grosso problema visto che a luglio Ilva esaurisce la cassa e a fine giugno scadono i termini per completare l’intesa con Mittal”. Proprio in giornata il parlamentare pugliese del Carroccio Rossano Sasso ha parlato di “chiusura inaccettabile” mentre i parlamentari pugliesi dei Cinque Stelle hanno rilanciato la necessità di un “incontro immediato”, entro la fine del mese. Sui numeri della trattativa Calenda sottolinea che “già oggi Ilva impiega molte meno persone visti contratti di solidarietà e cassa integrazione. Aggiungo poi che se i sindacati chiedono di assumere 14mila unità avendo già in mente la possibilità di esuberi successivi, non si rendono conto che i lavoratori non potrebbero godere a quel punto dei 5 anni di cassintegrazione, di incentivi all’esodo da 100mila euro e dell’impegno delle due società di Cornigliano e Taranto ad assumere chi, al 2023, rimarrà in amministrazione straordinaria. Quando si afferma, come se fosse una colpa, che il negoziato per da 8.500 assunzioni a 10mila è stato condotto esclusivamente dal Governo beh, allora, vuol proprio dire che qualcosa non va”.

Da lunedì, intanto, inizieranno le assemblee nello stabilimento Ilva di Taranto a conclusione delle quali – entro una decina di giorni – si decideranno eventuali forme di mobilitazione. Giovedì i sindacati hanno bocciato il testo dell’accordo che il governo aveva proposto alle parti: la cordata acquirente si impegna ad assumere 10mila lavoratori a tempo indeterminato, con la garanzia di escludere il ricorso a licenziamenti collettivi per 5 anni – nelle procedure di vendita da amministrazione straordinaria la garanzia è per 2 anni – e una garanzia “di continuità occupazionale a tempo indeterminato” per tutti i lavoratori anche attraverso la creazione di una newco “La Società per Taranto” costituita da Ilva in amministrazione straordinaria e da Invitalia. Una proposta non convince le organizzazione sindacali perchè Am Investco resta sulle posizioni iniziali in merito al personale di assumere al termine del piano industriale.

“Rispetto al contratto di aggiudicazione – spiega Ciccio Brigati, lavoratore Ilva, coordinatore delle Rsu della Fiom e componente della segreteria provinciale – ArcelorMittal non vuole assumere nemmeno un dipendente in più. Non si può chiedere al sindacato la responsabilità di accettare la divisione dei lavoratori, che sono ovviamente preoccupati, in tre o quattro fasce. Solo in 300 alla fine sarebbero utilizzati per le bonifiche, gli altri in cassa integrazione a rotazione. Ma per quanto tempo? E cosa accadrebbe dopo il 2023?“.

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