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Il mare d’inverno, la mia fuga dall’Isola di Pasqua

Il mare d’inverno, la mia fuga dall’Isola di Pasqua
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Conoscerete la storia dell’Isola di Pasqua: isola polinesiana un tempo lussureggiante ma che, quando gli europei la scoprirono, il giorno di Pasqua del 1722, era già una landa desolata, sovrastata da 397 enigmatici megaliti. Cos’era successo? Per trasportare qui pietroni, simbolo dei rispettivi clan, i nativi avevano deforestato l’isola, rendendo impossibile anche costruire le barche per andarsene. Ecco, dopo la repentina scoperta di com’è messa l’Italia, dopo le elezioni del 4 marzo, ci manca solo che i quotidiani scoprano questa storia e la usino come metafora delle sorti del Paese.

Personalmente volevo contribuire a questo clima apocalittico mandando al Fatto Quotidiano la lista dei sociologi che avevano immaginato questi sbocchi della rivoluzione neoliberista, a partire dalla Società del rischio (1986) di Ulrich Beck. Poi mia moglie ha deciso che era inutile stare a piangerci addosso: meglio fuggire dall’isola di Pasqua, sinché c’erano ancora le barche. Le previsioni meteo erano tremende, quelle del traffico pure, dove andare? Ma nella Maremma, come ai bei tempi. E dove, se no?

Assicurata la sopravvivenza dei figli e della gatta con il riempimento del frigo, siamo arrivati in loco un venerdì di passione, con un libeccio che c’inseguiva sin nei portoni delle case-vacanza sfitte. L’albergo prenotato su internet sembrava un asilo per tedeschi appena sopravvissuti al bombardamento di Dresda. Il mare d’inverno, a farla breve: un concetto che la mente non considera, come cantava Loredana Bertè, ma per colpa di Enrico Ruggeri. Per non parlare dei sensi di colpa: ma come, l’Isola di Pasqua rotola verso il suo destino e noi ce ne scappiamo così?

Poi, il mattino dopo, la Maremma(maiala) ci ha sorpreso di nuovo. Intanto c’era il sole, alla faccia dei meteorologi. Poi abbiamo trovato persino un’edicola aperta, benché in vendita, con l’edicolante grillino che aveva messo in vetrina i requisiti per il reddito di cittadinanza, portandosi avanti con il lavoro. Ancora, davanti alla Zia, ristorante di Orbetello, c’era il cartello: “Qui si spende tanto e si mangia male”. Avremmo voluto regalarlo alla cucina del nostro albergo, per ringraziarla delle emozioni che ci aveva dato la sera prima.

Infine, i due annunci appaiati del Vernacoliere e della Nazione, “Il fascismo dilaga, la sinistra s’adegua. Olio di ricino anche alla Coop” e “Bancario fa credito al parente fallito. Licenziato”: con l’attimo di esitazione prima di stabilire quale dei due fosse il giornale satirico. Ora il nubifragio è arrivato ma siamo al riparo, a scrivere queste scempiaggini: e poi siamo di Genova, anzi della Foce, e ci prende l’allegria dei naufragi, come cantava un altro chansonnier locale, certo Giuseppe Ungaretti. Il problema, semmai, sarà tornarci, all’Isola di Pasqua. Già me li vedo, i megaliti in lontananza.

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