Quelle strade troppo spesso squassate dalle bombe e dal rumore dei proiettili oggi saranno la piazza principale nella quale Libera celebra la Giornata del ricordo delle oltre 970 vittime innocenti di mafia. Don Luigi Ciotti aveva annunciato lo scorso maggio il ‘trasloco’ da Locri a Foggia, perché i segni di un’escalation mafiosa “erano già palesi” da tempo (leggi l’intervista integrale) e “non basta la capacità di vedere, ci vuole anche la volontà di denunciare“. E il territorio foggiano, in quanto a vittime innocenti, ha pagato il suo conto. Michele Di Candia, Giovanni Panunzio e Francesco Marcone, tanti anni fa. I fratelli Luciani, lo scorso 9 agosto, quando i problemi della provincia dauna sono comparsi sulle prime pagine dei giornali dopo la strage di San Marco in Lamis.

“Foggia banco di prova e metafora di sottovalutazione”
Da quel momento Foggia è diventato “un banco di prova“, secondo l’ultima relazione della Commissione Antimafia. Prima era invece una “metafora” di come le organizzazioni criminali si sentano “onnipotenti e impunite” di fronte a uno “Stato incerto”. Parole dure che raccontano una storia fatta di “cessione di spazi”, “sottovalutazione”, “rimozione” e incapacità di contestare in tempo reale la pretesa dei clan di esercitare una “giurisdizione territoriale alternativa”. Secche dalle quali si viene fuori partendo dall’educazione, da quel “silenzio che si scardina a scuola”, come dice il fondatore di Libera nel giorno della manifestazione. Un silenzio che negli ultimi mesi qualcuno in provincia di Foggia ha iniziato a rompere anche davanti magistrati, denunciando e facendo arrestare i boss.

La mafia tricefala che trasforma la forza in “pura ferocia”
Temendo proprio che due contadini onesti, Luigi e Aurelio Luciani, agissero così, la scorsa estate i killer li hanno inseguiti lungo le le provinciali polverose del Gargano per ammazzarli a colpi di kalashnikov perché avevano assistito all’agguato del boss Mario Luciano Romito e del suo genero. È con questa rappresentazione plastica della “forza che si trasforma in pura ferocia“, come la chiama l’Antimafia, che si inizia a parlare del “fenomeno Foggia”. Una mafia tricefala (Società Foggiana, clan dei Montanari e Cerignola) che negli ultimi trent’anni ha lasciato 300 morti sull’asfalto del nord della Puglia ed è ora in lotta da mesi per il controllo dei traffici di droga con i clan dell’Albania, che nel territorio impervio del Gargano hanno trovato la porta più sicura per l’Italia e l’Europa.

Territorio “funestato” dalle richieste estorsive
Ma le mafie foggiane tentano anche di influenzare la politica, come dimostra il recente scioglimento del Comune di Mattinata, e non dimenticano lo “strozzo” a commercianti e imprenditori. Paesi “funestati”, scrivono i parlamentari dell’Antimafia, da attività estorsive “finalizzate all’imposizione della guardiana abusiva, attività particolarmente vantaggiosa” in un territorio dalla forte vocazione turistica e con decine e decine di aziende agricole. Parlavano in pochi nel Foggiano. E quando accadeva, in sede processuale, arrivavano deposizioni contrarie. Adesso qualcosa inizia a muoversi e se ne stanno accorgendo anche carabinieri e poliziotti. Che da agosto in poi, dopo quei quattro morti lasciati sull’asfalto, hanno visto arrivare quasi 200 colleghi – e molti rimarranno in pianta stabile – per scardinare il “micidiale connubio” tra modernità e lungimiranza dei clan e il loro “capillare controllo del territorio” esercitato e cresciuto negli anni con un’imposizione di “metodi arcaici”. Negli ultimi mesi sono stati duecento gli arresti tra appartenenti alle batterie, come si chiamano i clan nel Foggiano, e criminali comuni, spesso giovani, che compiono rapine e furti a volte in nome e per conto della criminalità organizzata che ne “testa l’affidabilità” in questo modo.

Ma ora c’è chi denuncia e fa arrestare i boss
Tra gli altri, a ottobre, la Dda di Bari ha fermato Rocco Moretti, uno dei boss più importanti della Società Foggiana. È tornato in carcere con l’accusa di tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso. Tutto è iniziato con la denuncia di un imprenditore agricolo, al quale – secondo l’indagine – il capo clan aveva chiesto 200mila euro. Ha fornito elementi fondamentali, tanto che ora vive in località protetta. E qui non accade(va) spesso. “Ho conosciuto tanti foggiani che si ribellano anche alla sola idea di convivere con le mafie e che soffrono nel vedere la loro terra associata al sorpruso criminale“, spiega don Ciotti a Ilfattoquotidiano.it.

Don Ciotti: “Il silenzio si scardina a scuola”
“Poi è vero – aggiunge – che le mafie della Capitanata sono state in grado di condizionare i territori al punto da esercitare una sorta di ‘estorsione ambientale’“. Adesso, spiega il fondatore di Libera, è arrivato il momento di “creare associazioni collegate alle istituzioni e alle froze di polizia” affinché “l’imprenditore minacciato non si senta solo e il suo rifiuto di piegarsi faccia da sprone a tutti gli altri”. E poi c’è l’educazione al rifiuto dell’omertà: “Il silenzio si scardina a scuola, educando persone consapevoli dei loro diritti e delle loro responsabilità“.

La crescita delle giovani leve. “Scuola e lavoro per dare futuro”
Anche per fermare il fenomeno della criminalità minorile, sempre più frequente secondo la Commissione Antimafia negli ultimi anni con un preoccupante abbassamento dell’età degli autori, “spesso ai limiti della imputabilità”. Giovani indotti al “salto di qualità” con l’inserimento “in contesti di criminalità organizzata” dove vengono ‘allevati’ “per poi farli partecipare a crimini importanti quali gli omicidi”. Un rischio, quello delle derive giovanili, contro il quale, è l’appello di don Ciotti, bisogna costruire un argine: “Smettiamo di illudere i giovani con i rattoppi, i giovani vanno sostenuti, incoraggiati anche dotando loro di strumenti necessari per realizzare le loro capacità. Scuola e lavoro priorità per una società aperta al futuro”.

L’Antimafia: “Per troppo tempo ‘qui la mafia non esiste'”
Restano valide le recenti domande della Commissione Antimafia. “Perché una criminalità discontinua e dotata di modesto retroterra sociale ha potuto impunemente crescere in un capoluogo di provincia e in una delle più pregiate aree turistiche del Paese? – si chiedono i parlamentari – Bisognerebbe dedurne che chi doveva generare l’allarme sia rimasto vittima del classico e disastroso pregiudizio secondo cui ‘qui la mafia non esiste’. Che sia prevalsa un’inclinazione collettiva al quieto vivere“.

“Non bastano le visite. Foggia è un banco di prova”
In questo senso, Foggia si fa metafora, secondo la commissione parlamentare presieduta da Rosy Bindi che negli scorsi anni ha più volte evidenziato l’evoluzione del fenomeno mafioso tra Tavoliere e Gargano. Tra le prime, assieme all’ex questore Piernicola Silvis e a don Ciotti. Una scelta, quella del fondatore di Libera di celebrare nel capoluogo pugliese la Giornata del ricordo, definita nella relazione della Comissione “significativa” e indirizzata a “sottolineare che da sole non bastano le pur importanti visite di esponenti (politici, nda) per stroncare quel che si è lasciato crescere negli anni“. Occorre, invece, “un impegno corale e sistematico, ormai necessariamente di lungo periodo”. Un banco di prova, appunto.

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