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I curdi sono senza dubbio atipici, qui. Soprattutto i curdi siriani. I curdi del Rojava. Con questo loro tentativo di governo diretto, dal basso, sono la vena anarchica di un Medio Oriente spesso autoritario, invece, e soprattutto, profondamente conservatore. Ma in una cosa non sono affatto diversi: fondamentalmente, pensano a se stessi. E adesso, pagano il conto.

Il 20 gennaio la Turchia ha avviato l’operazione Ramo d’ulivo, il suo secondo intervento in Siria dopo l’operazione Scudo dell’Eufrate. L’obiettivo, in un certo senso, è sempre lo stesso: creare una zona di sicurezza a ridosso della frontiera. Ma questa volta, il pericolo per la Turchia non sono i jihadisti dello Stato Islamico. Sono invece i 10mila uomini dello Ypg, le Unità di Difesa Popolare del Rojava, a cui gli Stati Uniti vogliono affidare il presidio del confine. E per la Turchia, questo significherebbe avere i curdi alle porte. Con un Kurdistan infine contiguo, dall’Iraq fino al suo territorio. Contiguo, e armato e sostenuto dagli americani.

E i ribelli siriani combattono con la Turchia. Perché certo, dipendono dalla Turchia. Non è che abbiano molta scelta. Ma anche perché i curdi, visti dagli arabi, e in particolare dai siriani, sono quelli che hanno tradito la rivoluzione: non si sono mai uniti all’Esercito Libero, alleandosi invece tacitamente con Assad in cambio dell’autonomia del Rojava – che con i suoi tre cantoni di Afrin, Kobane e Jazira, costituisce complessivamente il 25 percento della Siria. Il Rojava, così, è stato a lungo risparmiato dalla guerra: è stato a lungo un mondo a sé. Mentre Aleppo era sotto i barili esplosivi, in Rojava si discuteva di Marx e Frantz Fanon.

Nel 2016, poi, quando è iniziato l’attacco allo Stato Islamico, i curdi sono stati la nostra fanteria. Hanno liberato Kobane, e via via, una a una, anche le città a maggioranza araba. E che però, invece di essere restituite ai ribelli, sono state inserite nel sistema di governo del Rojava. Fino all’assedio di Aleppo. Quando i curdi hanno tenuto chiusa la Castello Road, la principale strada di accesso alla città. Svolgendo così un ruolo determinante nella sua caduta. E in una delle battaglie più feroci di sempre.

Con la guerra all’Isis il vecchio Ypg, integrato da un po’ di arabi, è stato riciclato in Sdf, Syrian Defense Forces. Ma è rimasto essenzialmente l’esercito curdo: e quando ha riconquistato Raqqa, nella sua piazza principale ha piantato il ritratto di Ocalan. Un po’ come Hezbollah. Che ad Aleppo ha piantato la sua bandiera.

Poco di tutto questo è arrivato in Europa. Quasi niente. La sinistra si è lasciata affascinare dalla democrazia popolare del Rojava, e soprattutto, dalle ragazze al fronte: e in tanti si sono persino arruolati. Il Rojava era un modello e basta. Abbiamo sistematicamente omesso di parlare delle ambiguità e delle contraddizioni dei curdi. Dei curdi siriani, e ancora di più, dei curdi iracheni: che negli ultimi anni hanno ottenuto una larga autonomia, ma solo per rimpiazzare il governo di Baghdad con un governo altrettanto marcio e inefficiente, e altrettanto brutale nei confronti dei dissidenti. Nel nord dell’Iraq dominano due clan, i Barzani e i Talabani. Ma per noi è il Kurdistan: ed è sinonimo di libertà e progresso. Se critichi il Kurdistan, sei con Erdogan. Sei con Saddam.

Per quanto sia scomodo scriverlo, i curdi alla fine hanno giocato come tutti gli altri, qui. Si sono concentrati esclusivamente sui propri obiettivi e interessi, scegliendosi di volta in volta il patrono straniero più conveniente: e sperando un giorno di essere ricompensati con l’indipendenza. Che è poi la strategia che ha reso il Medio Oriente quello che è: un campo di battaglia. E naturalmente, è inutile dirlo, è esattamente la strategia dei ribelli siriani in questi giorni: contribuendo all’attacco al Rojava, pensano di ottenere armi e sostegno per ricominciare la guerra contro Assad. Pensano di combattere con la Turchia: ma combattono per la Turchia. Nient’altro. La vera rivoluzione, qui, sarà iniziare a rivendicare diritti per tutti, e non solo per sé. E capire che i mezzi sono importanti quanto i fini.

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