Cinema

Agnelli, l’Avvocato secondo Nick Hooker in onda il 21 gennaio su Sky Atlantic

di Davide Turrini

Potere, glamour, e anni di piombo. Agnelli, il documentario diretto da Nick Hooker che andrà in onda domenica 21 gennaio 2018 su Sky Atlantic alle 2115, è un raffinato e allo stesso tempo tragico ritratto di Gianni Agnelli a quindici anni dalla sua scomparsa. La figura dell’Avvocato riecheggia in filmati d’epoca in cui il presidente della Fiat (1966-96) ricopre incarichi professionali e dimostra una intensa vita privata, attraverso decine di testimonianze dagli altisonanti nobili cognomi dell’aristocrazia europea, dalla voce della sorella Maria Sole, dalle parole di Henry Kissinger, di direttori di giornali (Calabresi, Mauro, Riotta) ed editori (De Benedetti), dal “giardiniere”, dal “maggiordomo” e dal “cuoco” personale di casa Agnelli.

Una traiettoria alto-basso di linguaggio e di ricordi che va a comporre una possibile lettura molto all’americana in cui il destino di una nazione si staglia retoricamente ad un uomo solo al comando. Spiritoso, charmant, tombeur de femmes, Agnelli è prima dipinto nella sua mitologica aura di fascinoso ammiratore del sesso femminile letteralmente senza confini geografici; poi nella sua un po’ nascosta ma altrettanto possente spregiudicatezza al volante; infine nell’autorevole e sontuosa veste di capitano dell’industria automobilistica italiana. Industriale dall’inglese fluente e delle amicizie influenti, atipico e preparato baluardo anticomunista nell’epoca della forte protesta operaia degli anni settanta (“durante la settimana nemico, alla domenica allo stadio con la Juventus amico dei suoi dipendenti”), Agnelli ricopre a livello di immaginario mondiale la figura del “principe” immacolato, infallibile ed immortale, colui che da una parte discetta con rispetto e acume dell’influenza del comunismo sovietico in occidente, e dall’altra lancia vanitosamente la moda dell’orologio sul polsino della camicia o della cravatta con la “pala” più corta del “codino”.

Le immagini del documentario Agnelli aiutano molto la comprensione delle parole che vengono pronunciate dagli intervistati. Dato non trascurabile nell’oramai totalizzante predominanza nel genere documentario di interviste fronte camera che esauriscono il racconto. Utile quindi questo ripasso biografico e visivo a tutto tondo dell’uomo Agnelli. Racconto che però quando la situazione sociale si fa tesa e complicata, leggasi gli scioperi anni settanta, si macchia figurativamente di immensi rivoli di sangue e di salme ancora calde degli omicidi delle BR, facendone un po’ un tutt’uno con le lotte sindacali sorte dopo la crisi petrolifera del 1974. Proteste targate dipendenti Fiat finite comunque schiacciate della reazione della marcia dei quarantamila del 1980 a Torino, quella dei quadri dell’azienda di Torino che vollero tornare a lavorare dopo il prolungato blocco dei cancelli della fabbrica per parecchi giorni.

Hooker mescola dunque parecchie carte storico-biografiche che però se dal lato più pop, quello delle conquiste di Agnelli a letto o della tragedia della morte del figlio Edoardo, risultano ficcanti contrappassi intimi dell’uomo potente; dall’altro nella più classica e possibile didattica storica soprattutto negli anni settanta quando la trasformazione degli equilibri politici e industriali (Gheddafi che compra il 10% della Fiat, l’innesto di Mediobanca e l’avvento di Romiti) si fa palese, marcano una soggettività di sguardo e un taglio quantitativo un po’ brutale di materiale per stare sotto le due ore di durata. Rimane comunque l’esaltazione del fascino oggettivo di un uomo austero ed irripetibile, capace di sciare con una gamba rotta e poi fare battute col suo cuoco al telefono (“cuciniamo due coglioni di toro al presidente: due coglioni ad un coglione”, confessa allo chef riferendosi probabilmente a Fidel Castro), mescolanza sabauda di una predisposizione al comando assunta per qualità divina, ripagato con l’eterna istantanea dei 500mila torinesi che attendono ore al Lingotto per salutarne la salma alla sua morte nel 2003. Proprio come sottolinea ironico (e sconfitto?) il sindaco comunista di Torino dal 1975 al 1985, Diego Novelli: “Si misero tutti in fila in silenzio e al freddo, come i musulmani a La Mecca”.

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