Dal più profondo Sud s’ode una voce di pianoforte, una voce discreta ed elegante, seducente e concreta, quella del pianista jazz Francesco Scaramuzzino che, fresco fresco di un disco tutto nuovo, porta in giro in trio, con Bernardo Guerra e Gabriele Evangelista, la propria sintesi sonora titolata The Flowing, un lavoro edito dalla Picanto records di Sergio Gimigliano. Parlare con Scaramuzzino è un po’ come arricchire il proprio bagaglio di conoscenze, espanderlo senza troppe forzature, ritornare a casa con la sensazione di non essere partiti mai.

I dubbi, se non trovano soluzione, guadagnano almeno un certo riparo, come quando ci si sofferma a ragionare sulle colpe che il rifiuto della ripetizione, in molta musica contemporanea, ha avuto nel progressivo allontanamento del pubblico dalle sale da concerto, e se questo stesso rifiuto sia in qualche modo rinvenibile nel jazz e in diverse delle sue correnti: “La musica jazz – afferma Scaramuzzino – ormai significa tante cose. Se pensi al jazz di Steve Lehman o a quello di Ambrose Akinmusire, ci restituiscono lo spaccato di un mondo musicale veramente ampio, ma anche la musica contemporanea classica offre la stessa variegata scelta. Concordo comunque sul fatto che il periodo storico delle neoavangurdie non è stato di aiuto alla diffusione della musica, ma un parallelo si può fare con il free jazz, al quale all’epoca si imputavano le stesse colpe”.

Un jazz, quello di Scaramuzzino, che è, come dicevamo sopra, un continuo processo di sintesi di mondi totalmente diversi fra loro. A uno spiccato senso per la melodia si somma un certo attaccamento alle viscere dell’atonalità, il tutto rispettando le strutture degli standard. E l’armonia? “E’ del tutto normale – suggerisce Scaramuzzino – affermare l’importanza della ricerca armonica in un brano musicale, che non deve essere un elemento a servizio della melodia: armonia e melodia partecipano sia verticalmente che orizzontalmente al flusso musicale, influenzandosi a vicenda nelle scelte del compositore. In due brani del disco mi libero delle armonie operando una libera ricomposizione di due Invenzioni a due voci di J.S.Bach, la n. 4 in re minore e la n. 13 in la minore. In tutte e due il tema non prevede l’uso di accordi e armonie: c’è invece un tipico lavoro di interpolazione di nuovo materiale melodico atonale che viene inserito su inserti originali della composizione bachiana, stravolgendone l’impianto e unendo così i miei due mondi.

Nella n. 13 spezzo il flusso melodico del tema inframmezzandolo con gli episodi di improvvisazione collettiva del trio e portando l’interplay in una zona priva di “segnaletica’ musicale”. E che posto occupa la variazione melodica nella musica del pianista calabrese? “A me non piace molto estremizzare il concetto di variazione melodica tipo scuola tedesca – ammette l’autore di The Flowing: la melodia può far sgorgare altra melodia, ma non per forza con l’esercizio della variazione. Debussy è il principale portatore di novità in questo senso: si contrappose al mondo wagneriano proprio rifiutando lo strumento della variazione e componendo con tutto quello che la musica ti mette a disposizione. Anche il jazz, con il suo processo creativo istantaneo, ti costringe a diverse strade e a diverse soluzioni: certo la variazione melodica, quando è uno tra i vari strumenti, è importante, ma non deve essere l’unica risorsa creativa”.

Questione anche di correnti, di stili, di differenti maestri e latitudini musicali, che nel jazz, brulicante mondo in continua evoluzione, si susseguono instancabilmente: “Thelonius Monk e Bill Evans hanno accompagnato la mia crescita musicale: attraverso la loro musica ho anche affrontato meglio i miei studi classici. Monk e Evans rappresentavano all’epoca quasi tutto lo scibile della musica afroamericana”. Incontro tra mondi e culture diverse quello che il jazz ha saputo affermare e che un pianista come Scaramuzzino dimostra di saper esprimere nella sua produzione.

Perché quella del jazz è stata certamente la più convincente e significativa risposta alla ricerca delle avanguardie colte europee: “Il jazz è la migliore fusione tra la musica scritta e la musica orale: nessuna forma d’arte musicale è riuscita ad operare questo accostamento ad altissimi livelli. György Ligeti, in una intervista disponibile anche in rete, alla domanda ‘che posto occupa per te il jazz nella musica del XX secolo’ risponde ‘Forse il più importante’, aggiungendo inoltre la bellezza delle composizioni di Coltrane e Davis, Monk e Bill Evans, che hanno influenzato anche la sua musica (vedi i preludi per pianoforte)”.

Ciò nonostante, il jazz fatica ancora oggi a conquistarsi, almeno in terra italiana, un vero e proprio posto nel mercato musicale, già di per sé ridotto all’osso anche per generi e stili ben più commerciali e immediati. Molti tra i più grandi e significativi nomi del jazz nostrano vendono i propri dischi alla fine dei concerti, e ciò nonostante spesso si conservino, in quegli scrigni digitali, alcuni dei più significativi percorsi che l’arte del suono ha intrapreso oggigiorno.

E’ tra questi scrigni che riconosciamo certamente l’ultimo disco di Scaramuzzino, The Flowing, baule stracarico di meditazioni e profondità di pensiero: “In un disco si mette una parte del proprio mondo, o forse tutto. Nel mio caso le evocazioni principali mi derivano dalle passioni musicali, anche e soprattutto extra jazzistiche: Bach e Debussy, o Simenon, Conrad, Queneau, Borges, Pasolini. C’è un brano del disco, per esempio, che prende il nome da un famoso quadro di Edward Hopper, “I Nottambuli”, tela che secondo me rappresenta la quintessenza del jazz”.

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