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L’Austria dice sì ai matrimoni gay. Noi festeggiamo ancora le briciole

L’Austria dice sì ai matrimoni gay. Noi festeggiamo ancora le briciole
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Il mondo ce lo insegna: ciò che per Renzi e per i suoi peones parlamentari è progresso – per non parlare dell’unica cosa possibile da concedere, in termini di diritti delle persone Lgbt – nel resto del mondo è discriminazione. Alludo alla recente sentenza della Corte Costituzionale austriaca, che «ha cancellato, con una decisione datata 4 dicembre 2017, la norma legale che finora impediva» alle coppie formate da persone dello stesso sesso «di sposarsi».

L’Austria ha detto no alla discriminazione insita nelle “legislazioni speciali” in cui recintare i diritti delle persone Lgbt, in merito alle proprie scelte affettive: «La distinzione tra matrimonio e unione registrata non può essere mantenuta oggi senza discriminare le coppie dello stesso sesso. Perché la separazione in due istituti legali esprime che le persone dello stesso sesso non sono uguali alle persone di sesso diverso». Queste le parole dell’alta Corte del paese alpino.

Non ci voleva molto per capirlo, in verità. Bastava fare una considerazione sullo stato dell’arte e un ragionamento di buon senso. Sulla prima: se in tutti i paesi in cui si sono approvate prima le unioni civili si è poi avviata una lotta per ottenere il matrimonio, è evidente che quell’istituto non era soddisfacente. In merito al secondo: se faccio passare una persona da una porta secondaria e un’altra da quella principale, sto facendo una discriminazione.

Discriminazione: è ciò che il nostro governo ha fatto con le coppie gay e lesbiche. E noi abbiamo festeggiato l’istituzionalizzazione di ciò che ci rende cittadini/e di serie B parlando di progresso e giustificando la cosa col fatto che prima non c’era nulla. Abbiamo fame, dateci le brioche, insomma. Poi, di quelle, ci hanno “concesso” le briciole. Che convengo, è sempre meglio della fame, ma non è su questi presupposti che si ottiene la piena dignità.

Anche il caso australiano ci insegna che le unioni civili e le convivenze registrate sono solo un palliativo rispetto alla sofferenza sociale da parte di una comunità che non vede riconosciuti – sia a livello simbolico, sia sul piano pratico – i propri affetti, il proprio progetto di vita e le tutele (doveri inclusi) che derivano da esso. Ci sarebbe da chiedersi, arrivati a questo punto, cosa sta facendo il nostro movimento rispetto alla classe politica che si avvia ad affrontare le prossime elezioni.

C’è da chiedersi quali azioni, quale contributo ai programmi elettorali e quali rivendicazioni troveranno cittadinanza dentro i partiti: Pd e sinistra in primis, che gli altri abbiamo capito essere solo compost (post)ideologico. Dubito che il partito renziano aggiungerà nuova linfa alla questione, ottenuto il suo scopo. E cioè: in un contesto che si avviava velocemente verso il matrimonio, dalle sentenze in Italia ai cambiamenti nel resto del mondo, si è voluto stoppare il processo concedendo il minimo sindacale, salvo poi azzoppare anche quello.

Tanto c’è poi il M5S – quel scintillante consesso di volpi! – a cui dare tutta la responsabilità, mentre i cattolici ringraziano ancora. Vediamo che accadrà nel cartello di Grasso, a questo punto. Ma la domanda è, appunto: il movimento Lgbt intanto che fa? Perché pare che ci si sia fermati a sgranocchiare i confetti o poco più. Eppure gli obiettivi non mancano: matrimonio egualitario, legge contro l’omo-transfobia, responsabilità genitoriale alla nascita, adozioni, regolamentazione della Gpa, politiche per la salute, depatologizzazione della transessualità… mandando in pensione, definitivamente, la legge Scalfarotto e le stepchild adoption.

Il piatto sembra essere ancora più ricco, insomma. Ma in questo panorama, ben poco confortante, emerge l’evidenza possibile: tutto il casino fatto tra il 2015 e il 2016 per mettersi al passo con l’Europa ci ha consegnato – di nuovo – ad essere gli ultimi della classifica, pochi mesi dopo. Insieme alla Svizzera e alla Grecia. Solo che lì, almeno, puoi adottare.

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