Come avrete letto tutti ormai, Totò Riina è morto. Poche ore prima che il boss di Cosa Nostra lasciasse questo mondo, il ministro della giustizia Andrea Orlando, avuti i pareri favorevoli di Dap e Procura Nazionale Antimafia, ha concesso alla moglie e ai figli del mafioso, ormai in coma, di stargli vicino ma nessuno di loro ha fatto in tempo a incontrarlo.

In questi otto anni ho conosciuto tanti familiari di vittime di mafia, la quasi totalità uccise proprio su ordine di Salvatore Riina. Ho visto sui loro volti la sofferenza causata non solo dalla perdita del loro caro ma anche dalla spasmodica – e solitaria – ricerca di giustizia, che spesso, per loro, si comporta come l’utopia di Eduardo Galeano. Ho sempre detestato quella retorica, banale e inopportuna domanda che spesso i giornalisti rivolgono loro in questi casi, “potrà mai perdonarlo?”. Ma come ci si può aspettare che una persona con un tale carico di sofferenza spiattelli in pubblico pensieri così intimi e privati, spesso prima ancora che abbia avuto giustizia?

Ieri sera molti di questi familiari di vittime di mafia hanno manifestato, sulle loro bacheche Facebook, sconcerto e rabbia di fronte alla scelta del ministro Orlando. Le loro reazioni le comprendo. Come potrebbero essere diverse quando la vita di molti di loro si è fermata il giorno in cui hanno visto uccidere il proprio padre, figlio, fratello, sorella, zio, ecc.? Forse, al loro posto, avrei scritto cose simili.

Ma è per questo che i tribunali vengono presieduti da un giudice terzo e non dai familiari delle vittime, è per questo che, quando ho letto della decisione del ministro, mi sono sentita – una delle poche volte – orgogliosa del mio Paese. Quella decisione è stata la prova che lo Stato non è come Totò Riina. Lo Stato non cerca vendette. Non vuole ritorsioni. Non si abbassa al livello di trattare una persona, un detenuto, in modo disumano. È vero, Totò Riina non si è mai comportato da essere umano, ha ucciso centinaia di persone ed è morto senza mai pentirsi. E infatti non è da lui che dovevamo aspettarci un comportamento umano ma dallo Stato. Lo Stato deve rispettare l’articolo 27 della nostra Costituzione (“Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità”), della quale abbiamo il dovere di chiederne il rispetto e l’attuazione anche per chi si è macchiato di crimini orribili, anche per Totò Riina, per quanto possa farci male. È questo che ci rende degni di ritenerci un paese civile.

Ora ci auguriamo che lo Stato si ricordi di attuare l’articolo 27 della Costituzione a tutti gli altri detenuti meno famosi di Totò Riina, assicurando condizioni umane anche ai carcerati fuori dal 41 bis.

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