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Editoria, Angelucci condannato a 1 anno e 4 mesi per falso e tentata truffa: ottenne contributi pubblici non dovuti

L'editore e deputato Pdl aveva ottenuto finanziamenti per i suoi quotidiani Libero e il Riformista. Condannati a un anno anche i rappresentati legali delle due società. Il parlamentare: "Ingiustamente condannato, verrò assolto in appello"
Editoria, Angelucci condannato a 1 anno e 4 mesi per falso e tentata truffa: ottenne contributi pubblici non dovuti
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L’editore di Libero e deputato di Forza Italia Antonio Angelucci è stato condannato a un anno e quattro mesi di reclusione per falso e tentata truffa. L’accusa di truffa è invece caduta in prescrizione. Il giudice del tribunale di Roma ha stabilito che i quotidiani Libero e il Riformista hanno ricevuto contributi pubblici indebitamente nel 2006 e 2007, finanziamenti che erano stati in parte bloccati dopo l’apertura delle indagini.

Lo scorso luglio il pubblico ministero Francesco Dall’Olio aveva chiesto una condanna a 4 anni per l’onorevole, che dovrà anche risarcire con 100mila euro la presidenza del Consiglio. A processo erano finiti anche i rappresentati legali delle due società, Editoriale Libero ed Edizioni Riformiste, Arnaldo Rossi e Roberto Crespi: il giudice di primo grado li ha condannati a un anno di reclusione. Per tutti la pena è sospesa.

Secondo l’accusa, Angelucci – che si dichiara innocente e fiducioso riguardo alla possibilità di ribaltare la sentenza in appello – aveva provato ad aggirare la normativa che regola il finanziamento ai quotidiani e aveva richiesto contributi per entrambi i suoi giornali. Ma la legge vieta di richiedere finanziamenti per più di una testata allo stesso editore. Per superare il divieto, le due società avevano sostenuto di appartenere a due editori differenti.

Per questa vicenda era già intervenuta la Guardia di finanza nel 2013, quando eseguì un sequestro preventivo di 20 milioni di euro – poi revocato – nei confronti delle due società. Nei mesi scorsi, invece, Angelucci è stato indagato per traffico d’influenze dalla procura di Roma. Stando alle indagini, l’editore avrebbe cercato qualcuno che intervenisse per avere una sentenza più morbida in Cassazione dopo un sequestro preventivo.

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