Referendum autonomia, la vittoria di Zaia paladino del federalismo leghista. Che ora può sognare la leadership

Luca Zaia assapora il trionfo autonomista esattamente 151 anni dopo il plebiscito del 1866 che decretò a furor di voti (solo 69 contrari su 642 mila votanti) l’annessione del Veneto al Regno d’Italia. Lo fa anche lui a suon di voti (ma quelli di allora sono da sempre contestati dagli storici venetisti), attraverso un’adesione non oceanica, visto che alle urne è andato il 57,2 per cento degli elettori veneti. Eppure, in tempi di assenteismo dilagante, è un successo indiscutibile, anche se nel dicembre 2016 l’affluenza al referendum di Renzi raggiunse il 76,66 per cento. Superata di un soffio la soglia del 57,16% registrato alle regionali del 2015. La percentuale di “Sì” che si fissa al 98,1% è roboante, ma scontata. Era chiaro che chi fosse andato a votare non lo avrebbe fatto per dissentire dal quesito (“Vuoi che alla Regione del Veneto siano attribuite ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia?”). Sarebbe stato più produttivo per lui restare a casa, nell’ipotesi che il quorum non fosse raggiunto. Invece hanno votato 2 milioni 328mila veneti su un corpo elettorale di 4 milioni 68 mila persone. A favore 2.273.985 elettori, contrari 43.938.
Vent’anni dopo, finisce così definitivamente nell’archivio della memoria politica l’idea della Padania, che Umberto Bossi sognava e brandiva come una parola d’ordine per arringare le folle dal Piemonte al Friuli. All’epoca alimentò perfino i fantasmi giudiziari di un attentato all’integrità dello Stato. Oggi si è trasformata in una richiesta di federalismo spinto lombardo-veneto-più veneto che lombardo-eppure istituzionale, anzi costituzionale. Perché si apre ora il campo alla trattativa per avere mano libera nella gestione di 23 materie.
“Questa Regione dà il via a un big bang di riforme istituzionali”, ha commentato a caldo. In un sol colpo, il governatore leghista Zaia centra due obiettivi. Il primo. Essere il paladino delle rivendicazioni anti-statali che arrivano da una delle terre più ricche e produttive d’Italia, dettando l’agenda per un lavoro che, in linea teorica, lo porterebbe a scavallare la presente legislatura regionale. Ma questa naturale conclusione può essere resa incerta dal secondo obiettivo, di rilevanza nazionale. Nella casa del centrodestra italiano adesso Zaia si candida a giocare un ruolo di primissimo piano. Nell’euforia trattenuta a stento in riva al Canal Grande si coglieva proprio questa riflessione. Se si pensa all’età e alle vicissitudini giudiziarie di Silvio Berlusconi, o alla non facile digeribilità di Matteo Salvini per i più moderati di Forza Italia, Zaia diventa un perfetto smazzacarte.
Lui si nasconde e non lo confermerà neppure sotto tortura, eppure un pensierino ce lo fa, anche se ha sempre dichiarato di rispettare le gerarchie del Carroccio e la leadership del suo segretario. Ma in questa occasione ha dimostrato stoffa di grande tessitore, soprattutto con il modo con cui ha ricompattato quasi tutti i partiti e le componenti sociali sul referendum. Ad esempio, già a marzo faceva i patti con Matteo Zoppas, segretario regionale di Confindustria, rassicurandolo che le materie economiche avrebbero avuto gli industriali come interlocutori. Poi ha costretto il Pd a piegarsi all’ondata autonomista, schierandosi a favore, seppur con qualche mal di pancia. Altrimenti il centrosinistra sarebbe finito con le spalle al muro, un alfiere del centralismo votato a sicura sconfitta.
Alle 19, con il secondo dato relativo all’affluenza, è arrivata la conferma del superamento della soglia. A spoglio ancora in corso. Zaia si è concesso pubblicamente, annunciando l’immediata convocazione della giunta regionale per presentare il progetto di legge sull’autonomia. “Noi chiediamo tutte le 23 materie, il federalismo fiscale e i nove decimi delle tasse. – ha detto – Questo è il Big Bang delle riforme e della storia istituzionale, come quando è caduto il muro di Berlino. Oggi vincono i veneti, il nostro senso civico e il nostro desiderio di essere padroni a casa nostra. Adesso siamo sempre meno simili alla Grecia e più simili alla Germania”.
Com’era da aspettarsi, ognuno cerca di tirare il risultato dalla propria parte. Renato Brunetta, capogruppo di Forza Italia: “Se i veneti oggi hanno potuto votare è per la lungimiranza e la serietà istituzionale dell’allora Popolo della Libertà”. La senatrice Laura Puppato del Pd: “La Lega non può intestarsi alcuna vittoria, ilquorum è stato raggiunto anche grazie all’indicazione di voto del Pd del Veneto”. Il segretario regionale del Pd, Alessandro Bisato: “Adesso incalzeremo Zaia, che ha condotto una campagna spudorata, promettendo effetti e risultati che non erano previsti dal quesito. Si potevano ottenere da anni deleghe e competenze, se si fosse avviata una contrattazione seria con lo Stato”.
I Cinquestelle: “Oggi è il giorno della democrazia e dell’autodeterminazione. Dopo una partecipazione così grande, da Roma sarebbe inopportuna ogni forma di resistenza. Tuttavia ci aspettiamo un percorso tortuoso di trattative con Roma e il M5S vuole parteciparvi”.