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Mazara del Vallo, peschereccio siciliano sequestrato da militari tunisini. Sindaco: “Una ritorsione”

L'imbarcazione Anna Madre è stata presa d'assalto nella notte da una motovedetta armata mentre si trovava in acque internazionali, a sud di Lampedusa. La barca ad agosto era già stata oggetto di un tentativo di sequestro
Mazara del Vallo, peschereccio siciliano sequestrato da militari tunisini. Sindaco: “Una ritorsione”
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Un peschereccio di Mazara del Vallo è stato sequestrato da una motovedetta tunisina. Quando è stata fermata, l’imbarcazione siciliana Anna Madre era in acque internazionali a sud dell’isola di Lampedusa. Per il sindaco del comune del Trapanese, Nicola Cristaldi, si tratta di una “ritorsione”, dato che il “natante è stato già oggetto di tentativi di sequestro”. Intanto l’ambasciata italiana a Tunisi fa sapere che, in coordinamento con la Farnesina, si è subito attivata per seguire il caso. Il peschereccio era già stato minacciato da una motovedetta libica assieme all’Aliseo, lo scorso 2 agosto, sempre per ragioni legate alla zona di pesca.

Ad assaltare l’imbarcazione sono stati 5 militari tunisini “armati”, stando a quanto racconta chi si trova a bordo, che hanno rinchiuso il comandante, Giacomo Giacalone, all’interno di una cabina, avendo così mano libera per invertire la rotta e dirigersi verso Sfax, il porto tunisino della costa orientale, dove il peschereccio è arrivato in tarda mattinata. Stando alle informazioni fornite dall’armatore, “sono intervenuti sia la nave della Marina militare italiana che si trovava a una quindicina di miglia dal nostro natante sia un elicottero“.

Per l’armatore quello che è accaduto è un fatto anomalo “che stiamo valutando”, perché “a bordo il nostro peschereccio non ha pesce fresco, ma soltanto congelato. Nella stiva ci sono all’incirca tre tonnellate di gamberi e cento chilogrammi di pesce misto. Si tratta di specie di pesci che non si pescano nelle acque tunisine”. Una pesca che secondo Giacalone conferma che la Anna Madre era in acque internazionali, dunque.

Al momento si attendono conferme dalle fonti diplomatiche interessate. Ma sono due le versioni da valutare, perché invece per i tunisini il peschereccio si trovava in acque territoriali. L’assessore alla Pesca della Sicilia Antonello Cracolici indica la ragione del fermo nel fatto che “secondo le autorità di Tunisi i nostri armatori pescavano a un profondità basimetrica inferiore a cinquanta metri. Per l’assessore “la grande questione è la guerra del pesce. E tutto è legato alla grande incertezza giuridica che continua a esserci in quel tratto del Mediterraneo”.

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