Vado a cena con un mio collega parigino, decano di Science Po (dunque collega di Enrico Letta). Parliamo del nuovo corso politico francese e mi sbottono: «Emmanuel Macron è l’invenzione delle due realtà che nel tuo Paese ancora reggono: la Massoneria e l’Alta Finanza delle banche». Poi preciso di essere – comunque – consapevole delle differenze che corrono tra loro e l’Italia; i nostri cappucci e grembiulini tra il macchiettistico e il malavitoso, gli imbarazzanti bancomat atteggiati a istituti di credito.

L’interlocutore resta abbottonato. Forse gli sembra prematuro lanciarsi in un giudizio definitivo, la frequentazione del pesafumo Letta jr. può averlo influenzato, non ritiene prudente seguire l’interlocutore nei suoi azzardi da scavezzacollo… Eppure non smentisce. Poi osserva, parlando quasi tra sé e sé: «Certo che il primo Ministro Edouard Philippe è notoriamente un massone». Ma evita per creanza di coinvolgere in tale compagnia gli italioti; da Mario Monti a (probabilmente) il giovane Letta.

Del resto parliamo di una radicata tradizione d’Oltralpe; e le cronache del tempo riferiscono che il primo ministro transalpino Georges Clemenceau (1841-1929), detto “il Tigre”, quando rischiava di finire in minoranza era solito gridare «Au secours, la Vieille»; e i confratelli accorrevano a sostenerlo da tutti i rami del Parlamento.

Molta acqua è passata sotto i ponti – dalla Senna al Potomac o magari il Tevere – e ora l’antica fratellanza plutocratica si è rifatta il look, dalla Trilateral al Bilderberg Group e altri salotti dal lusso discreto; però continuano a restare in vigore riservatezze e solidarietà relazionali. Non meno di un apparato intellettuale da cinici stockholders, la cui palese indifferenza è finalizzata a tutelare gli interessi materialissimi della propria classe agiata. Come si inizia a intuire dietro il faccino sorridente, dalla boccuccia che schiudendosi lascia intravvedere le zanne, del nuovo inquilino dell’Eliseo. Il giovanotto che rimanda a casa con le pive nel sacco i pellegrini giunti da Roma implorando aiuto per la difficilissima gestione della faccenda immigrati e che si prepara a ricevere come ospite d’onore il 14 luglio il trucido plutocrate Donald Trump. Per intonare insieme sui Campi Elisi «liberté, egalité…».

Insomma, il 7 maggio scorso i circoli coperti della Ville Lumière hanno realizzato il loro capolavoro, trovando una soluzione allo spappolamento del quadro politico nazionale. Il problema è che la brillantissima operazione mediatica, impersonata dallo svelto giovanotto ricreato in vitro come leader politico, non affianca una altrettanto seria produzione di idee per il rinnovamento delle ricette politiche. Difatti – e non poteva essere diversamente – quello che appare “en marche” è l’ennesima rivisitazione della ventennale paccottiglia con cui Blair e Clinton avevano abbindolato il proprio elettorato di ceto medio, conducendolo come un gregge al macello. A riprova evidente che le plutocrazie non sono certo nella posizione di proporre la messa in discussione degli equilibri loro favorevoli.

Sicché – alla fine della cena – il mio commensale era disponibile ad ammettere che la “luna di miele” di Macron pare destinata a una rapida fine; non solo con il proprio elettorato, ma con l’intero sistema mediatico mondiale. Ennesima parabola di questi giovanotti genericamente modernizzanti che compaiono repentinamente sulla scena e la cui presa sul pubblico dura lo spazio di un mattino. Come abbiamo visto anche dalle nostre parti con il bulletto di Rignano.

Semmai fa riflettere che ancora non emerga una politica realmente innovativa, capace di mobilitare al cambiamento. Come lo furono il New Deal, il Welfare o l’Ostpolitik.

Ciò a cui noi europei stiamo assistendo sono solo operazioni di cosmesi, utili per mettere fuori gioco demagoghi da strapazzo tipo la Le Pen o il feticista olandese del capello Geert Wilders; magari inconcludenti disturbatori della quiete pubblica come Matteo Salvini o Beppe Grillo. Pure operazioni di facciata per consentire agli abitanti degli attici politici ed economici di prendere tempo. Ma per fare che cosa?

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