Con una citazione di quattro pagine, la Presidenza del Consiglio dei ministri ha chiamato in giudizio i familiari di alcune vittime del terremoto dell’Aquila del 2009. Lo Stato rivuole indietro quei soldi stanziati alla fine del processo di primo grado sulla commissione Grandi Rischi, accusata di avere sottovalutato il pericolo di sisma imminente rassicurando la popolazione locale. 8 milioni di euro di provvisionali che secondo il governo Gentiloni dovrebbero tornare al mittente perché la sentenza successiva della Corte d’Appello, confermata dalla Cassazione, ha assolto tutti gli imputati eccetto l’allora vicecapo della Protezione Civile Bernardo De Bernardinis, cui, tuttavia, è stata riconosciuto il nesso causale solo in relazione alla morte “di alcune vittime e non di altre per le quali è stato assolto ex articolo 530 II comma”. Ora lo Stato chiede indietro proprio ai familiari di queste ultime vittime le provvisionali riconosciute dopo la sentenza di primo grado. “Vogliono i soldi indietro – osserva l’avvocato Della Vigna – Ma noi stiamo preparando a nostra volta una lettera di messa in mora, dicendo che tratteniamo le provvisionali perché non sono state date indebitamente: abbiamo le prove, che useremo nel processo civile, per dimostrare un nesso causale tra le rassicurazioni avute e la scelta di restare nelle case dove le vittime hanno trovato la morte”.

Secondo il tribunale penale, i sei esperti protagonisti della famosa riunione della Grandi Rischi il 31 marzo del 2009, ­cinque giorni prima del sisma aquilano, non erano più colpevoli e quindi non più responsabili economicamente di quel mancato allarme. Ma i familiari delle vittime si sono sentiti umiliati e offesi una seconda volta, e hanno intrapreso una battaglia legale in sede civile. Rinfocolatasi proprio in questi giorni dopo il sollecito di “riscossione crediti” da Palazzo Chigi. “Non solo i familiari delle vittime non devono restituire le provvisionali allo Stato (pari al massimo al 40 per cento del danno totale riconosciuto), ma a nostro avviso la Presidenza del Consiglio deve riconoscere l’intero risarcimento dei danni stabilito dai giudici di primo grado. E ci batteremo per questo – è il pensiero dell’avvocato Wania Della Vigna, tra i difensori dei familiari delle vittime – Dove non c’è stato un reato non è detto non ci sia danno civile”.

Secondo i legali, insomma, in sede civile una sentenza di assoluzione per insufficienza di prove non avrebbe alcuna efficacia. Con una nota, si è schierato dalla loro parte anche il comitato dei parenti delle vittime dell’hotel Rigopiano: “Pure loro, come noi, sono vittime di uno Stato assente, insensibile e cieco nei confronti di quelle famiglie che si sono viste privare già degli affetti dei propri cari e adesso si vedono chiamate a restituire quell’ormai piccola e insignificante consolazione che hanno ricevuto. Insieme a loro siamo profondamente indignati per come lo Stato sia in grado di abbandonare coloro che sono vittime della sua stessa incompetenza”.

Ha scritto direttamente al premier Gentiloni il sindaco dell’Aquila Massimo Cialente: “Gentilissimo signor presidente, è pervenuta due giorni fa ai familiari delle vittime del sisma la richiesta di restituzione del risarcimento che era stato disposto dal Tribunale di I grado. Cinquantacinque persone, madri, padri, fratelli, figli delle vittime del sisma che, la notte del 6 aprile 2009, ha distrutto L’Aquila, sono stati citati dalla Presidenza del Consiglio dei ministri… Lo Stato chiede di “accertare, riconoscere e dichiarare quelle somme prive di giustificazione causale”. Alla luce della tragicità degli accadimenti dell’aprile 2009, della tragicità e complessità della vicenda giudiziaria nota come “Processo Grandi Rischi”, per il rispetto che si deve portare alle stesse vittime, ai loro familiari ed all’intera comunità aquilana, le chiedo di individuare con la sensibilità che la contraddistingue la giusta soluzione che preveda il ritiro della richiesta di restituzione del risarcimento”.

La querelle giudiziaria ha avuto inizio il 22 ottobre del 2012, quando la sentenza di primo grado ha condannato i sette componenti della commissione Grandi Rischi a sei anni di reclusione per omicidio colposo e lesioni colpose plurime, “per aver fornito alle vittime informazioni erroneamente rassicuranti, così inducendole a rimanere in casa la notte tra il 5 e il 6 aprile 2009”. Contestualmente, il giudice aveva stabilito delle provvisionali immediatamente esecutive. In tutto, 8 milioni di euro. La sentenza della Corte d’Appello del 10 novembre 2014 ha però ribaltato quel pronunciamento, mandando assolti sei dei sette imputati e rideterminando la pena di De Bernardinis in due anni di reclusione. E la Cassazione ha ratificato quest’ultima linea. “L’istruttoria non ha consentito – scrissero i giudici di secondo grado – di raggiungere un sicuro convincimento di responsabilità in ordine alla stessa sussistenza del fatto contestato”. Unico (parziale) colpevole, il braccio destro di Bertolaso Bernardo De Bernardinis per “negligenza e imprudenza” a livello di informazione: “Non c’è un pericolo… Anzi, è una situazione favorevole perché c’è uno scarico di energia continuo”, disse quel 31 marzo a proposito dello sciame sismico che durava da mesi. Il  24 luglio prossimo si terrà al Tribunale civile dell’Aquila la prima udienza sulla richiesta di risarcimento avanzata dal Governo.

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