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Elezioni in Olanda, un brodino per l’Europa

Elezioni in Olanda, un brodino per l’Europa
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Per l’Unione e per l’Europa, un altro brodino che fa bene, dopo quei bocconi indigesti e pesanti della Brexit e di Trump. In Olanda non vincono gli xenofobi anti-Ue e anti-Islam di Geert Wilders, che incrementano di poco voti e seggi: sono primi i liberali ‘tiepido-europeisti’ del premier uscente, e confermato, Mark Rutte.

Dopo il successo in Austria il 4 dicembre del verde europeista Alexander Van der Bellen, che battè al ballottaggio bis lo xenofobo d’estrema destra Norbert Hoefer, quello olandese è il secondo gol infilato dagli elettori europei nella porta del populismo: golletti, magari, mentre la Brexit e Trump erano stati ‘gollazi’, ma si va ai supplementari sul 2 a 2.

Il ‘golden gol’ lo segnerà la Francia fra 50 giorni, proprio come fece David Trezeguet nella finale contro l’Italia di Euro2000: se vincesse Marine Le Pen, neppure un’affermazione di Angela Merkel e delle altre forze tradizionalmente europeiste a settembre in Germania terrebbe a galla l’Unione; se vincerà chiunque altro, l’Unione andrà avanti e in autunno potrebbe riprendere il largo, se l’economia continuerà a crescere e le risposte all’immigrazione saranno finalmente visibili.

Nel frattempo, grazie al risultato olandese, le celebrazioni a Roma il 25 marzo del 60° anniversario dei Trattati istitutivi delle allora Comunità europee potranno svolgersi in un clima non da funerale. E anche la minaccia di un dissenso polacco, o del Gruppo di VisegradPolonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria -, sul documento acqua fresca in preparazione per il Vertice romano crea, ora, meno ansia.

Il presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker s’è congratulato con il premier Rutte: quello olandese – ha detto – è stato “un voto per l’Europa, un voto contro gli estremisti“. E’ stato, anche, come spesso in , un voto molto frammentato: la forza principale, i liberali di Rutte, ha poco più di un quinto dei suffragi e dei seggi – 33 sui 150 della Camera Bassa; tre partiti, e cioè gli xenofobi di Wilders, i popolari e i liberali di sinistra, hanno ciascuno tra il 12 e il 13% dei voti e una ventina dei seggi; la sinistra s’è frantumata, con i Verdi che avanzano e i socialisti che crollano, mentre va bene la sinistra radicale ed entrano in Parlamento per la prima volta gli anti-razzisti.

Ci vorranno minuziose trattative per formare un governo di coalizione. Insieme, liberali, popolari e liberali di sinistra non fanno la maggioranza: il centro-destra dovrà così cercare altrove la manciata di seggi che gli manca. Ma il capogruppo del Ppe al Parlamento europeo Manfred Weber, tedesco, vede nel risultato olandese un premio “alla chiarezza e alla netta demarcazione da radicalismi e populismi” e uno smacco “per tutti gli anti-europeisti”. Commenti analoghi arrivano da Berlino, Parigi, Roma.

Su Twitter, un amico e collega, Lelio Alfonso, ha scritto questa notte che era dai tempi di Neeskens, mitico centrocampista degli oranje e dei lancieri di Johan Cruijff, che non ci preoccupavamo tanto dell’Olanda. I media italiani soffiavano da giorni sul babau Wilders, la cui vittoria avrebbe fatto più notizia e avrebbe gonfiato, anche qui da noi, le vele di chi punta sulla paura.

Non è andata così. E, per una volta, sono contento d’una notizia meno forte perché buona. Anche se c’è da valutarla con cautela: la diga olandese ha retto, i giovani hanno votato verde e non xenofobo, la partecipazione è stata altissima (82%) e il populismo, almeno lì, pare circoscritto, forse ha toccato il suo limite; ma Rutte, pur vincendo, perde voti e, per vincere, ha anche dovuto giocare la carta delle tensioni con la Turchia.

E, poi, diciamolo magari sottovoce: siamo proprio mal messi, se Rutte, un mercantilista che vede l’Europa mercato, più che come un’Unione, diventa un’icona europeista.

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