LE SPERANZE INFRANTE DEI PADRI – L’ETERNO RITORNO

ali-eyal-120Ali Eyal. Baghdad, Iraq
“Quella notte del 2003, eravamo tutti insieme in casa. C’era un cielo che sembrava pieno di stelle cadenti. Invece erano le bombe della Us Air Force e la contraerea dell’esercito”. Il cielo era quello di Baghdad, Ali Eyal oggi ha 22 anni: “Ci siamo accorti che Saddam Hussein era caduto quando abbiamo trovato gli americani sotto casa, mentre alla televisione i carri armati tiravano giù la statua del dittatore in piazza Furdus”. Ali non ha ricordi del passato. La maggior parte delle cose che sa le ha viste su internet: “Ho la memoria quasi vuota. Però una cosa la ricordo: nel 2003 credevamo che l’Iraq sarebbe diventato uno Stato prospero, come i paesi del Golfo”.

dani-qappani-120Dani Qappani. Mohadamyeh, Siria
A Mohadamiyeh, in Siria, neanche Dani Qappani, 28 anni, riesce a ricordare. “Se chiudo gli occhi, ho dei flash sporadici: il presente è talmente pesante da non permettere di vivere altro”. Prima del 2011, anno in cui scoppiò la guerra civile al seguito delle primavere arabe che incendiavano il Nord Africa, Dani insegnava inglese a Damasco e studiava spagnolo. “Avevo ambizioni: sognavo di lasciare il Paese e continuare a studiare all’estero”. La Storia, tra il Tigri e l’Eufrate, è un inesorabile eterno ritorno di speranze e delusioni.

Accadde nel 2000, quando dopo la morte di Hafez al Assad in una notte venne cambiato un articolo della Costituzione per abbassare l’età elettiva del presidente della Repubblica a 35 anni: l’età del figlio di Hafez, Bashar al Assad. “E’ giovane, pensò la gente – sottolinea Dani – tutti speravamo che sarebbe arrivato il cambiamento: il Paese si sarebbe aperto, ci sarebbe stata più libertà e la fine degli arresti indiscriminati. Invece…”. Alle richieste avanzate da diversi intellettuali siriani, appartenenti a tutte le confessioni e colori politici, il giovane presidente rispose con nuovi arresti e nuove persecuzioni.

Poi, una nuova occasione: la primavera di Beirut del 2005, quella promossa da una alleanza di forze politiche che chiedevano la fine dell’occupazione siriana in Libano. Gli intellettuali siriani che erano usciti di prigione chiedevano nuove aperture, speranzosi che gli eventi in Libano influenzassero le scelte del governo. In un hotel della capitale decine di scrittori e pensatori presentarono, durante una conferenza stampa non autorizzata, la dichiarazione di Damasco: un manifesto di 5 pagine che riproponeva le stesse richieste portate a Bashar al Assad nel 2001. Ma anche allora le speranze si sgretolarono di fronte alla repressione governativa. Ancora arresti e torture.

Poi “arrivò la guerra in Libano del 2006 – prosegue Dani – e tutti sostenevamo Hezbollah e la loro ‘muqawama‘ (resistenza) contro Israele. Aprimmo le nostre case ai fuggiaschi libanesi, ai guerriglieri, che cinque anni dopo, quando la primavera araba arrivò in Siria, sarebbero venuti qui a difendere il regime siriano e a perseguitare le stesse persone che un lustro prima avevano offerto i loro letti, le loro case”.

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