Quando gli chiedo se parla inglese, mi risponde con un ghigno furbo che poi si trasforma in un sorriso. “Yes, I do”. Si chiama Kuma, dice di avere quindici anni, forse ne ha anche meno. Lo sguardo tradisce ricordi più grandi e pesanti del suo viso da bambino. È un oromo, l’etnia di cui fa parte oltre un terzo della popolazione in Etiopia, oggetto di marginalizzazione e persecuzioni da parte del governo. Ha lasciato l’Etiopia per scampare a rivolte violente, repressione, reclusione.
È partito da solo: la sua famiglia aveva da parte quanto necessario per pagare un solo viaggio. È partito lui, per le sorelle sarebbe stato troppo pericoloso.
Non che il viaggio non sia pericoloso anche per Kuma: ha solo 15 anni ed è arrivato in un altro continente, passando tra le mani dei trafficanti in Sudan, poi imbarcandosi su una nave dall’Egitto verso l’Italia. Un viaggio che è durato otto mesi, senza un adulto cui dire semplicemente “ho paura” e da cui ricevere rassicurazioni.
Ora Kuma sogna di arrivare a Parigi, di studiare, di riabbracciare sua madre rimasta in Etiopia.
Kuma è uno degli oltre 12.000 minori non accompagnati sbarcati in Italia dall’inizio del 2016. Migliaia di bambini che attraversano il nostro paese completamente soli, nel tentativo di sopravvivere, di avere un futuro, una possibilità di scelta. Bambini che nella maggior parte dei casi cercano di rimanere invisibili, per il timore di subire ancora abusi, di essere identificati, bloccati, intrappolati in un inferno burocratico che non sono in grado di comprendere e affrontare.
L’ho conosciuto a Roma, in un tardo pomeriggio, tra la folla di persone in fila per ricevere la cena in via Cupa, dove, prima dello sgombero dell’inverno 2015, aveva sede il Centro Baobab. È così che Roma accoglie i migranti transitanti: in una strada, poco lontana dalla stazione Tiburtina. Più che Roma, ad assisterli sono sempre i volontari e attivisti di Baobab Experience, insieme ad altre organizzazioni: nella città non c’è un centro di accoglienza per migranti in transito, non c’è un luogo ufficiale che garantisca un alloggio dignitoso a uomini, donne e bambini che da mesi, alcuni da anni, sono in viaggio verso il Nord Europa per fuggire da persecuzioni, violenze, torture, povertà estrema.
In via Cupa c’è un groviglio di umanità, sotto il sole ardente e la pioggia battente: famiglie etiopi, ragazzi sudanesi, donne e uomini somali e volontari, tanti, di tutte le età, ad alternarsi a distribuire cibo, vestiti, informazioni, empatia.
Tanti i minori, quasi tutti soli, fatta eccezione per i bambini molto piccoli, alcuni nati addirittura durante il viaggio.
Kuma è uno di loro. Aspetta, irrequieto. Dopo un po’ che parliamo, gli chiedo se conosce il centro A28, se sa come arrivarci, se vuole andarci a dormire. Mi sorride ancora e mi dice che è qui da quasi due settimane e che ha imparato bene la strada.
L’A28 è un centro notturno di accoglienza per minori stranieri in transito, gestito da Intersos. Il centro rappresenta un posto sicuro, dove bambini e ragazzi come Kuma possono fermarsi per la notte, fare una doccia calda, ricevere vestiti puliti, cibo, assistenza ed informazioni dai mediatori. L’A28 può accogliere fino a 30 minori ogni sera, ma con l’aumento continuo di arrivi, i posti letto non bastano. Per questo Intersos sta creando un nuovo centro per minori stranieri in transito, con una capienza maggiore; un centro aperto anche di giorno, che non solo dia alloggio e protezione durante la notte, ma anche assistenza medica, legale e garantisca attività formative ai ragazzi ospiti.
Questi bambini hanno già pagato per colpe che non hanno, hanno già rischiato per avere una scelta, hanno già rinunciato alla loro infanzia per dover continuare a soffrire il freddo, la fame, la paura, la vergogna. Da adulti, da esseri umani, dobbiamo a questi bambini rispetto, protezione, attenzione. Da adulti dobbiamo sentire il dovere morale di fare qualcosa perché un bambino come Kuma non smetta di sognare di arrivare a Parigi, di studiare, di riabbracciare sua madre.
Si può sostenere il progetto del nuovo centro con un SMS o una chiamata da rete fissa al 45501, dal 25 Settembre al 1 Ottobre.
Video a cura di Alessandro Costetti
Ora Kuma sogna di arrivare a Parigi, di studiare, di riabbracciare sua madre rimasta in Etiopia.
Kuma è uno degli oltre 12.000 minori non accompagnati sbarcati in Italia dall’inizio del 2016. Migliaia di bambini che attraversano il nostro paese completamente soli, nel tentativo di sopravvivere, di avere un futuro, una possibilità di scelta. Bambini che nella maggior parte dei casi cercano di rimanere invisibili, per il timore di subire ancora abusi, di essere identificati, bloccati, intrappolati in un inferno burocratico che non sono in grado di comprendere e affrontare.
L’ho conosciuto a Roma, in un tardo pomeriggio, tra la folla di persone in fila per ricevere la cena in via Cupa, dove, prima dello sgombero dell’inverno 2015, aveva sede il Centro Baobab. È così che Roma accoglie i migranti transitanti: in una strada, poco lontana dalla stazione Tiburtina. Più che Roma, ad assisterli sono sempre i volontari e attivisti di Baobab Experience, insieme ad altre organizzazioni: nella città non c’è un centro di accoglienza per migranti in transito, non c’è un luogo ufficiale che garantisca un alloggio dignitoso a uomini, donne e bambini che da mesi, alcuni da anni, sono in viaggio verso il Nord Europa per fuggire da persecuzioni, violenze, torture, povertà estrema.
In via Cupa c’è un groviglio di umanità, sotto il sole ardente e la pioggia battente: famiglie etiopi, ragazzi sudanesi, donne e uomini somali e volontari, tanti, di tutte le età, ad alternarsi a distribuire cibo, vestiti, informazioni, empatia.
Tanti i minori, quasi tutti soli, fatta eccezione per i bambini molto piccoli, alcuni nati addirittura durante il viaggio.
Kuma è uno di loro. Aspetta, irrequieto. Dopo un po’ che parliamo, gli chiedo se conosce il centro A28, se sa come arrivarci, se vuole andarci a dormire. Mi sorride ancora e mi dice che è qui da quasi due settimane e che ha imparato bene la strada.
L’A28 è un centro notturno di accoglienza per minori stranieri in transito, gestito da Intersos. Il centro rappresenta un posto sicuro, dove bambini e ragazzi come Kuma possono fermarsi per la notte, fare una doccia calda, ricevere vestiti puliti, cibo, assistenza ed informazioni dai mediatori. L’A28 può accogliere fino a 30 minori ogni sera, ma con l’aumento continuo di arrivi, i posti letto non bastano. Per questo Intersos sta creando un nuovo centro per minori stranieri in transito, con una capienza maggiore; un centro aperto anche di giorno, che non solo dia alloggio e protezione durante la notte, ma anche assistenza medica, legale e garantisca attività formative ai ragazzi ospiti.
Questi bambini hanno già pagato per colpe che non hanno, hanno già rischiato per avere una scelta, hanno già rinunciato alla loro infanzia per dover continuare a soffrire il freddo, la fame, la paura, la vergogna. Da adulti, da esseri umani, dobbiamo a questi bambini rispetto, protezione, attenzione. Da adulti dobbiamo sentire il dovere morale di fare qualcosa perché un bambino come Kuma non smetta di sognare di arrivare a Parigi, di studiare, di riabbracciare sua madre.
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