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Fedeltà a se stessi, un sapiente dosaggio di follia e impudenza

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La fedeltà a se stessi implica sempre un sapiente dosaggio di follia e impudenza. Cosa significa essere fedeli a se stessi però? Sembra che si stia ragionando su un qualcosa che può voler dire tutto o niente. Quando si parla di cose profonde, il rischio è quello di non poter andare oltre la loro superficie ed è una possibilità concreta e ben accetta. La profondità, per essere tale, deve essere accessibile a pochi, nonostante sia bramata da tutti. Esiste una certa profondità usa e getta a uso e abuso della media delle persone, ad esempio, banalizzando, c’è chi si avvale delle citazioni perché rappresentino qualcosa di sé e di quello che si vuol dire, c’è chi quelle citazioni le crea e le scrive, c’è chi le pratica.

Essere fedeli a se stessi è essere se stessi, ma è mai pensabile essere altro? Ogni pensiero e ogni azione che da noi viene non può che rappresentarci inevitabilmente. Allora di cosa stiamo parlando?

Esiste uno scollamento tra quel che sentiamo, quel che pensiamo e quel che facciamo e maggiore è questo divario, maggiore è il malessere che ne deriva, in minime dosi è quasi accettabile e inevitabile, ma aumentando dà forma a un disagio sempre più consistente.

Quello che si sente è quello su cui si cominciano a generare i nostri pensieri che si sforzano di interpretarlo nelle forme che, in quel momento, probabilmente richiedono meno sforzo e fatica, quindi il parametro è una sorta di risparmio di energia che non dà garanzie che quel che pensiamo del nostro sentire sia corretto. In generale si può faticare a riconoscere le emozioni, si può arrivare a negarle o a darvi spiegazioni fuorvianti, pur di non saperne l’origine. Ci hanno insegnato che alcuni sentimenti sono buoni e altri cattivi, come se la natura non ci avesse semplicemente fornito di quanto avevamo bisogno, incurante dello giusto o sbagliato.

La rabbia viene a essere considerata negativa, quando, in realtà, a essere tale può solo essere l’utilizzo che se ne fa, infatti l’agire è direttamente conseguenza di quel che sentiamo e pensiamo e, se non c’è un accordo interno, esso può essere confuso, ambiguo e talvolta violento.

Quindi essere fedeli a se stessi significa saper leggere cosa si prova attraverso l’allenamento e l’onestà del pensiero e agire in conformità con quanto si sente e si pensa, fermo restando quello che Freud chiamava il principio di realtà, ossia il fatto di essere calati in un contesto sociale e relazionale che ha delle regole e dei limiti e che deve preservare l’incolumità dell’altro, perché vi si possa vivere in maniera equilibrata.

In parte, la fedeltà a se stessi è una chimera, qualcosa andrà sempre in contraddizione con tutto quel che posso celare al mio interno e con tutto quello a cui sono esposto nel mondo, questa contraddizione, se gestita, è positiva, anche se può comportare una certa fatica e sofferenza, ma genera talento, passione, arte.

Le contraddizioni, per essere scavalcate quel tanto che basta per vivere, devono affinare l’intelligenza, portare a una lucidità fuori dal comune che troverà i suoi modi per esprimersi. Nascono le domande migliori, quelle che non comportano sempre e comunque una risposta o la stessa risposta.

C’è solo una cosa che genera più disagio del dolore, ed è la sua mancata espressione. Ecco perché essere fedeli a se stessi, come scrivevo all’inizio, implica follia, perché non è con la ragione che spieghiamo tutto ed ecco perché implica impudenza, perché non bisogna aver vergogna di sentire quel che si sente, solo così il pensare può incanalare l’agire nelle forme più adeguate. Il dosaggio deve essere equilibrato, troppa follia ci caratterizza come pazzi e troppa impudenza ci priva dalla salvaguardia della nostra intimità che rimane uno dei beni più preziosi che possediamo.

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Vignetta di Pietro Vanessi

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