Crollo dei prezzi, riduzione delle superfici coltivate, agricoltori in affanno e poche tutele. Grano, olio, pomodoro. E pure il mais, che la crisi non risparmia. Alla Borsa Merci di Bologna, punto di riferimento per i mercati di tutta Italia, è stato quotato quello di qualità, ma a 180 euro, contro i 195 euro a tonnellata della quotazione del mais d’importazione extracomunitario. E Coldiretti non ci sta. Il tutto mentre i produttori di grano sono da mesi sul piede di guerra per i prezzi che non consentono margini di guadagni, le tavole degli italiani sono invase di olio tunisino, marocchino e spagnolo di pessima qualità e l’Unione Europea boccia ‘lo scudo’ alle importazioni di pomodoro dal Marocco (e paradossalmente l’Australia impone dazi su quelli in scatola italiani). Secondo Coldiretti Emilia Romagna “è inspiegabile e anche offensivo per i produttori italiani il gap di 15 euro tra il mais nazionale di qualità e quello extracomunitario”. La scorsa settimana è andata anche peggio: il mais di qualità quotato 192 euro a tonnellata veniva pagato come mais normale a 171 euro, con una perdita di 21 euro a tonnellata per i maiscoltori.

LA DENUNCIA DI COLDIRETTI – “La giustificazione di questa differenza – ha dichiarato il presidente di Coldiretti Emilia Romagna, Mauro Tonello – è che il mais di importazione avrebbe ampie ‘certificazioni’ di cui non si conosce bene il contenuto, visto che anche quello italiano può fornire tutte le certificazioni necessarie”. Coldiretti sottolinea anche un altro aspetto: “Non si considera che il mais di importazione, in molti casi (come per quello importato dal Canada), è stato raccolto nel settembre 2015 e quindi ha fatto migliaia di chilometri in nave per arrivare in Italia”. Una differenza più volte segnalate anche per altri prodotti come, ad esempio, il grano duro. Proprio per questa ragione per il presidente Tonello “visto che le caratteristiche del nostro mais di qualità sono superiori a quelle d’importazione, bisogna che venga pagato almeno alla pari di quello importato”. Rispetto alla scorsa settimana il prezzo è salito. “Potrebbe essere un passo avanti – ha commentato Tonello – se non si trattasse di una ennesima penalizzazione per i produttori italiani”. Anche perché già nei giorni scorsi, la Coldiretti ha sottolineato i limiti del piano di rinnovamento annunciato dalla Borsa Merci di Bologna “che dal 1 giugno avrebbe dovuto basare i suoi listini sulla qualità dei prodotti”, con una quotazione ad hoc per il mais senza aflatosine “e un prezzo adeguato alla qualità per i produttori”. Una rivoluzione a metà, dunque, ha denunciato Coldiretti che sottolinea anche la mancanza di trasparenza per i consumatori dato che “il mais è uno degli ingredienti base per l’alimentazione degli animali negli allevamenti per la produzione di carne e latte”.

LA PRODUZIONE DI MAIS – A rendere l’Italia più dipendente dalle importazioni è anche la riduzione di superfici coltivate a mais nel Belpaese. Durante una tavola rotonda che si è svolta in occasione della Giornata del Mais, l’8 febbraio scorso, a lanciare l’allarme è stata Assosementi, l’associazione che rappresenta le aziende sementiere italiane. Secondo la Sezione colture industriali del consorzio la contrazione delle superfici coltivate a mais nel 2015 è anche maggiore rispetto alle statistiche ufficiali dell’Istat: poco più di 800mila ettari rispetto a 1 milione di ettari circa accertati da Istat. E per il 2016 l’Istat ha previsto un calo delle superfici del 3,9% per mais da granella e un aumento del 2,6% per il mais da foraggio. Secondo il Servizio Economico di Coldiretti Cuneo, invece, nel 2015 in Italia sono stati coltivati circa 728mila ettari di mais per una produzione di circa 7 milioni e 300mila tonnellate e una raccolta di poco inferiore. Un calo sensibile rispetto al 2006, quando gli ettari coltivati erano un milione e 100mila, per una produzione totale di quasi 9 milioni e 700mila tonnellate. Una riduzione dovuta a diversi fattori “sia di carattere economico con costi elevati e anni di quotazioni di mercato poco soddisfacenti – ha rilevato Coldiretti – sia ad alcune criticità sugli aspetti sanitari, come la presenza di micotossine”.

DAL GRANO AL POMODORO: LE DIFFICOLTÀ COMUNI – I problemi legati al prezzo del mais sono comuni anche ad altre colture. Lo dimostrano i dati diffusi da Confagricoltura Emilia Romagna che ha segnalato “la situazione di difficoltà in cui operano le aziende cerealicole della regione”. Dove la superficie coltivata a grano tenero è passata da 151.848 a 136.084 ettari tra il 2014 e il 2015, mentre per il mais il crollo degli ultimi dieci anni è stato definito “allarmante”: da 112.515 nel 2006 a 77.497 ettari nel 2015. E se la sottrazione di ettari alla coltivazione di frumento tenero è dovuta alla tendenza crescente a seminare frumento duro in ragione del prezzo più elevato, a sua volta il mercato del grano duro è in forte crisi tra calo dei prezzi, esportazioni selvagge e speculazioni. Infine la beffa è arrivata quest’estate e ha come oggetto un altro prodotto italiano: il pomodoro. Dopo l’invasione dell’olio tunisino, il 2016 è iniziato con le importazioni di pomodoro dal Marocco consentite da un accordo commerciale con l’Unione Europea che ha provocato una crisi senza precedenti della produzione nazionale, concentrata soprattutto in Puglia e Sicilia. “I prodotti italiani sono sotto attacco” ha denunciato Coldiretti. E pensare che poche settimane fa in Australia è stata avviata un’indagine per presunta alterazione della concorrenza per i pomodori in scatola italiani che sarebbero esportati a prezzi troppo bassi. Sotto stretta osservazione i sussidi europei da 183 milioni di euro al settore italiano. L’Australia ha già imposto dazi e potrebbe presto anche aumentarli.

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