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Siamo un popolo che dimentica

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Come è possibile che solo il terremoto ci faccia scoprire quanto siamo grandi noi italiani? In queste occasioni, riusciamo ad essere generosi, instancabili, organizzati, con un tasso di altruismo che ci invidiano in tutto il mondo. Retoricamente lo abbiamo inscritto simbolicamente addirittura nell’inno: “Fratelli d’Italia, stringiamoci a coorte, siam pronti alla morte, l’Italia chiamò!”. Sì, nell’inno solenne c’è la carta d’identità dell’anima degli italiani e considerato il fatto che i volontari operativi, sono stimati in circa 4 milioni, non possiamo avere dubbi che siamo ciò che siamo e lo dimostriamo solo nell’estremo bisogno. Tanto capaci di curare, quanto incapaci di prevenire.

Siamo così, abbiamo bisogno di scendere in campo per indossare la maglia della nazionale. Non riusciamo a tenerla sempre cucita nell’anima come accade ad altri popoli. Nudi di fronte alla realtà, la indossiamo quando accade qualcosa e la togliamo via facilmente per qualunque futile motivo. Organizzati e pronti a reagire per far fronte alle emergenze, caotici e sciatti ogni giorno, nella quotidianità. Siamo un popolo che dimentica. Non c’è altra spiegazione.

La generazione che uscita dalla guerra, ha ricostruito questo Paese non c’è più ed oggi ci è rimasta solo la loro traccia nel nostro dna, che rivive solo in queste tragiche occasioni. Le nostre lacrime a volte sembrano fatte di inchiostro simpatico e non lasciano i solchi e le rughe che avevano i nostri nonni. Ormai anche le fila di feretri e lenzuoli bianchi allineati scompaiono senza lasciare traccia nei nostri volti e nelle nostre anime. I drammi ci scivolano addosso per lasciare il posto ad altri drammi, in una concatenazione quasi senza tempo. Ed il gattino salvato toglierà dai file della nostra memoria i nomi che avevamo imparato a ricordare. Le famiglie, i riflettori, i non vi lasceremo soli, i numeri, gli appelli, i siparietti insulsi del Pil.

Tutto trema sopra le faglie sulle quali poggiamo umili la nostra “pochezza”. Ed è un attimo, a caso! “Il paese non c’è più”, ci dice il sindaco di Amatrice con un realismo notturno dell’uomo che è tutt’uno con le sue cose. Strade, archi , monumenti, palazzi “non ci sono più”, inghiottiti dalla notte. I satelliti, poi con crudeltà fotografica ci mostreranno quanto, quell’uomo, a pochi attimi di distanza ha registrato con la sua semplicità. Non c’è più, fate presto, venite ad estrarci. E come una terra che ingoia dalla quale devi estrarre vite.

Il lavoro maieutico dei soccorritori è faticoso, impone silenzio e velocità, forza e decisione disumana assieme alla delicatezza dell’archeologo. L’ascolto del sussurro della terra, mentre ancora continua a tremare, il furto di un lamento impercettibile, la fortuna di un intreccio che forma una bolla. Che grande popolo siamo noi italiani! Sappiamo vivere urlando felicità e morire silenziosi, alzare le braccia in alto per salutare una vittoria o per sorreggere un corpo estratto dalle macerie. Ma dimentichiamo troppo, siamo un popolo amnesico.

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