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Omofobia, quanto è diffusa nel mondo? Parola a un diciottenne africano

Omofobia, quanto è diffusa nel mondo? Parola a un diciottenne africano
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Ma l’omofobia è in calo? Il quotidiano torinese La Stampa ha recentemente dato molto risalto a un sondaggio Ires sui piemontesi secondo il quale, tra il 2015 e il 2016, sarebbe diminuito il numero di coloro che rispondono “nessun problema” alla domanda “le creerebbe problemi avere come vicini di casa una coppia gay o lesbica?”. Sarebbe invece raddoppiato, fino ad arrivare a circa il 40%, il numero di coloro che rispondono “dipende da come si comportano”. A parte il sondaggio, e un noto caso di cronaca (ma uno solo), non risultano fatti concreti che confermino questo presunto ritorno di intolleranza. Ma c’è anche tutto un mondo, extra Unione Europea, che ci circonda e ci pervade e che spesso reagisce duramente all’emergere della soggettività Lgbt. Grazie ad amicizie comuni, ho potuto incontrare e brevemente intervistare un ragazzo nero quasi diciottenne che sembra invece l’immagine di un progresso in corso.

E’ qui da pochi anni, viene da un paese dell’Africa Occidentale, si è integrato in Italia ed è accettato come gay. Nell’istituto medio superiore che frequenta lo sanno tutti che è gay, ci son stati un po’ di mormorii ma complessivamente è ben rispettato, ha amici e soprattutto amiche. Frequenta anche un oratorio e non si fa problemi di peccato omosessuale (“La Chiesa non è Dio e la Bibbia dice amatevi gli uni con gli altri”). Non ha percepito problemi di razzismo nei suoi confronti. Non ritiene ancora matura la possibilità di dichiararsi ai genitori (né al genitore rimasto in Africa né a quello immigrato), avrebbero troppa paura dei pregiudizi degli altri, ma prima o poi lo farà. Non tornerebbe in Africa, gli sembra che lì la vita omosessuale sarebbe troppo difficile. Gli chiedo come vede la situazione mondiale rispetto al conflitto tra omosessualità e omofobia: “Se il voto è da uno a dieci, mi fermerei a metà: darei un bel cinque. Le cose cambiano quando le persone conoscono direttamente un gay o una lesbica, i pregiudizi crollano.”

La valutazione ufficiale dell’Ilga (International Lesbian Gay Association) è leggermente migliore, ma analoga. “Lo spostamento è stato verso la non discriminazione” dice il direttore mondiale, che è l’italiano Renato Sabbadini. L’Ilga ha anche fatto svolgere un sondaggio tra utenti della rete in vari paesi del mondo ed è giunto alla conclusione che è una minoranza a volere che la omosessualità sia considerata un crimine. Solo in Africa quelli che vorrebbero mantenere il reato, 45%, superano i liberali, 36%; già in Asia le proporzioni si invertono (34% per il reato, 45% contro). Ma l’evoluzione non è lineare, non è scontata. In Russia, la caccia al gay e la persecuzione, anche legale, sono di questi ultimissimi anni, così in vari paesi africani. A ogni emersione, – da quella degli Lgbt tunisini che reclamano legalizzazione e visibilità a quella degli italiani che ottengono, buoni ultimi in Europa, le unioni civili – a ogni emersione, dicevo, fa seguito anche una ondata di controreazione. Le dinamiche non sono ancora tutte studiate e prevedibili. Alcune decine di paesi all’Onu fanno blocco per evitare che il rispetto dell’orientamento sessuale sia sancito esplicitamente come diritto umano fondamentale.

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