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Diventa interessante, oltre che doveroso, affrontare il punto 3 del ‘manifesto’ del Prim (Piano di Riconversione Industriale Manifatturiero)

3. Assistere gli imprenditori nella stesura dei contratti di rete d’impresa

Nel corso di questi mesi nei quali abbiamo cercato di parlare di questa nuova visione dell’impresa virtuale ci è stato possibile renderci conto di come questo concetto sia abbastanza assente sia nel mondo imprenditoriale che in quello degli appassionati di politica economica.

Ora noi usiamo la definizione di ‘impresa virtuale o olonica’: ma nella realtà concreta, molte imprese nel mondo già da anni operano utilizzando questo schema operativo la cui caratteristica essenziale è quella della elevata mobilità da un lato e contemporaneamente della robustezza nel tempo di accordi di business decisamente importanti.

Sotto sotto tende a modificarsi il concetto di fornitore: profondamente diverso diventa anche il concetto della fidelizzazione del cliente: cambia il modo, per chi fornisce semilavorati, di crescere culturalmente, sia sotto il profilo tecnologico (la collaborazione diventa stretta come se si trattasse di reparti interni di una medesima impresa) che sotto il profilo gestionale.

Questa nuova tecnica gestionale interessa sia le aziende Oem che le subfornitrici Ssm: nelle prime può verificarsi un alleggerimento – anche non di poco conto – della struttura fisica dell’azienda, che può essere alleggerita di reparti ‘impropri’, tradizionalmente cresciuti poco alla volta: questa cultura è stata parecchio potenziata all’epoca dell’Ige (Imposta generale sull’entrata), l’avvento dell’Iva ha modificato la situazione ma la mentalità resta ancora parecchio diffusa.

Ricordo – per incidens – l’esempio reale di una nota società di Oggiono, la Carniti, che produceva motori fuori bordo marini: la teoria era di farsi tutto in casa: addirittura si era realizzata un reparto nel quale si autoproduceva le vernici, sembrerebbe giusto che abbia chiuso anche se, naturalmente, la colpa è della crisi, del destino cinico e baro, mai magari anche dell’imprenditore miope e gretto.

Snellendo la struttura produttiva fino al limite di ridurla ad un puro reparto di assemblaggio e di ingegnerizzazione dei propri progetti si ottiene anche la rimessa in circolo operativo di capitali che erano bloccati in investimenti e produzioni improprie: produzioni acquisibili da terzi, magari dotati di un know-how superiore; si tratta di un passo importantissimo verso un rafforzamento dei capitali propri che vengono indirizzati verso il ‘core-business’ dell’azienda: e nel caso italiano questo sarebbe un grandissimo toccasana in relazione ad una situazione media generale nella quale la struttura dei capitali propri aziendali è la più debole – e di gran lunga – in Europa, favorendo così il ricorso a prestiti e, pertanto, a onerosità finanziarie aggiuntive.

4. Dare vita a un centro-contatti nazionali e internazionali per le imprese che vogliono indirizzarsi sulla strada olonica organizzato per porle in contatto con aziende italiane e straniere Oem.

Anche qui, come mentalità nazionale siamo nel profondo rosso.

Se fosse acculturata in modo adeguato l’Italia disporrebbe già ora di una struttura gigantesca, forte anche all’estero, in grado di sviluppare un volume di fuoco altissimo per quel che riguarda i contatti utili alla bisogna.

Si tratta delle strutture confindustriali (una sessantina sul solo territorio nazionale), delle Associazioni di Categoria, delle Camere di Commercio, della Cna, delle Grandi Banche, delle strutture Regionali all’estero…: un profluvio di mezzi dal volume di fuoco potenziale impressionante.

Non stiamo parlando di strutture da promozione tipo Ice, la promozione è un’altra cosa: e va lasciata a specialisti (che anche qui scarseggiano assai assai…).

Pensate se, adeguatamente formate, queste strutture disponessero di un elenco quanto meno orientativo delle Ssm italiane suddivise per specialità: che potessero cioè ‘mirare’ ad un obiettivo o, come dicono gli americani, ‘to focus a target’: personalmente – ne sono più che certo. Ne deriverebbe un volume d’ordini tali da raddoppiare o triplicare in breve tempo la nostra presenza all’estero: che è l’obiettivo fondamentale per fare uscire la nostra industria manifatturiera dalle spire dell’asfissia in cui oggi cerca di sopravvivere.

L’ostacolo oggi è costituito dal fatto reale per cui tutta questa gigantesca struttura è orientata ad una cultura ferreamente burocratica: è il Gotha della burocrazia, solo una visione sindacale e una organizzazione di schedatura orientata ai fabbisogni legali.

Non so calcolare quanti possano essere oggi questi centri: ma sono certamente centinaia, se non migliaia.

Pensate a che cosa si potrebbe fare se in ognuno di essi potessimo infilare un giovane, laureato o di scuola superiore (meglio liceo) educato con la cultura-base del marketing che, oltretutto, non è affatto una cultura né nozionistica e neppure mnemonica ma esige una grande elasticità mentale e una forte freschezza del ragionamento.

Il problema non è quello di disporre di una conoscenza né merceologica né amministrativa: occorre disporre di una formazione che addestri a fare collegamenti di visioni, con una base conoscitiva della nostra realtà manifatturiera.

Esige un ‘giovane’, non un ‘anziano’ e neppure un ‘maturo’: perché questi ultimi portano fatalmente con se – con grandissima probabilità – proprio quegli schemi mentali che hanno ‘gelato’ la nostra imprenditoria manifatturiera: che non deve essere fatta soltanto di technicality, ma soprattutto di creation.

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