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Attentati Bruxelles: Salah e i suoi fratelli, tra paura e migranti

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Oggi che Bruxelles diventa la capitale della paura occidentale e allo stesso tempo il cuore del jihad contro i “crociati”, colpita dai kamikaze come Raqqa (capitale dell’Isis) dalle bombe russo-americane, noi qui ci sentiamo “tutti belgi” ovvero scoperti tra timori e domande: cosa stiamo sbagliando ancora?

Le ricette immediate sono quelle di rafforzarci ancor più nella sicurezza, nel chiuderci contro tutto il mondo esterno che pare pioverci addosso facendo brandelli dei nostri copri e del nostro stile di vita. Vade retro il kamikaze e chiunque possa minacciarci. Le code delle persone che escono dall’aeroporto di Bruxelles con valigie e bambini sulle spalle sono così simili a quelle dei migranti che vogliono varcare la porta dell’Europa a Idomeni tra Grecia e Macedonia.

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I kamikaze (scopriremo presto essere nati a Molenbeek o poco lontano dal quartiere simbolo del radicalismo musulmano nel centro esatto del governo Ue) “vendicano” la presa di Salah, il martire che non voleva morire e al contempo possibile “gola profonda” sulla rete (o almeno una delle reti) delle cellule islamiche.

Bruxelles è un colabrodo – ormai è evidente –  ma altri aeroporti continentali  sono molto più sicuri? La Pasqua sta arrivando e nessuno si muoverà dal proprio paese, dal proprio piccolo luogo, come chiedevano ieri le autorità belghe: “Rimanete dove siete”. E’ un lungo e ancora non risolto 11 settembre d’Europa e l’obiettivo finale è la conquista dei nostri cuori e delle nostre menti impaurite e diffidenti di qualsiasi straniero e quasi di noi stessi.

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