L’altra favorita è Jennifer Lawrence. Poco amata, e soprattutto poco conosciuta in Italia, la 25enne attrice originaria del Kentucky si è fatta conoscere con un film alquanto sopravvalutato come Winter’s Bone (una nomination come attrice protagonista nel 2010), poi è finita sotto le grinfie del pigmalione “con un serio deficit di attenzione”, l’ha detto lei, che si chiama David O. Russell, e in men che non si dica le è arrivato un Oscar come miglior attrice per Il lato positivo (2012), proprio mentre nei panni della nuova eroina di Hunger Games, Katniss Everdeen, iniziava la sua cavalcata dal Distretto 12 di Capitol City. Che dire della Lawrence? È una fanciulla folle e istintiva, di certo non star da actor’s studio, semmai corpo e viso in sofferente agonia, strattonata dagli eventi della psiche, dell’anima e della vita. In Joy è una Cenerentola con appiccicato addosso il sogno americano del successo attraverso la propria generalista genialità. Joy inventa il Miracle Mop, diventa imprenditrice di se stessa sfruttando la propria testa e il proprio rigore, stravolge le regole della comunicazione commerciale, ma soprattutto scambia sguardi con Bradley Cooper di un’intensità che dà sull’infinito. Solo per questa intraprendenza, questa dolce testardaggine, Jennifer Lawrence è da amare incondizionatamente. L’Academy non passi oltre la fermata Lawrence, sarebbe un altro peccato mortale.

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Oscar 2016, il duello per la miglior attrice: tra Blanchett e Lawrence spunta Charlotte Rampling

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