Poco più di un mese fa, Mohammad Shihabi ha fatto il giro di cinque ospedali di Ta’iz alla ricerca disperata di ossigeno per salvare la vita di suo figlio: “È morto 14 ore dopo la nascita. I medici ci avevano subito detto che aveva bisogno di terapia intensiva e di ossigeno. Abbiamo chiesto a tutti gli ospedali ancora aperti ma non c’è stato niente da fare. Ho cercato di uscire da Ta’iz, ma non c’è stato modo”.

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Ecco com’è morta la più giovane vittima del conflitto dello Yemen. Non, stavolta, per una bomba saudita venuta dal cielo, ma per un crudele blocco imposto ormai tre mesi fa dal gruppo armato houti e dai fedelissimi dell’ex presidente Saleh, suoi alleati. Le testimonianze di abitanti e personale medico degli ospedali della terza città dello Yemen, raccolte da Amnesty International, descrivono un allarmante quadro di sofferenza e lotta per la sopravvivenza.

Tutte le entrate e le uscite dalla città sono controllate dagli houti e dai loro alleati. Solo l’ingresso di al-Duhi, sul lato occidentale di Ta’iz, è aperto a intermittenza. Gli abitanti di Ta’iz hanno riferito ad Amnesty International che gli houti e i loro alleati bloccano, e in alcuni casi sequestrano, frutta, verdura, carne, vestiti, bombole del gas per cucinare e bombole di ossigeno per gli ospedali. I medici hanno denunciato che negli ultimi mesi la mancanza di ossigeno ha provocato la morte di almeno 18 persone, tra cui il neonato di 14 ore e altri quattro bambini.

In città restano in funzione solo quattro ospedali, che aprono e chiudono sulla base della disponibilità di forniture mediche, che nella maggior parte dei casi arrivano tramite una rotta di contrabbando che passa superando un valico montano di 3000 metri. Come se non bastasse il blocco da terra degli houti, a dicembre i sauditi hanno anche colpito una clinica di Medici senza frontiere.

Il direttore dell’ospedale al-Rawdha ha detto che non è più possibile accettare pazienti che necessitano di terapie intensive o interventi chirurgici (a dicembre, dai 15 ai 20 ricoveri al giorno), a causa della mancanza di ossigeno. Un altro ospedale, al-Thawra, sta terminando le scorte. Mancano anche le incubatrici.

Secondo la Commissione medica di Ta’iz, un organismo locale istituito per cercare di affrontare l’emergenza sanitaria e distribuire le scorte rimanenti, prima dello scoppio del conflitto gli ospedali della città avevano bisogno di 200-250 bombole di ossigeno al giorno.

Attualmente, i quattro ospedali ancora in parte funzionanti devono dividersi 20, al massimo 30, bombole di ossigeno al giorno, che arrivano a dorso d’asino attraverso la rotta dei contrabbandieri. Il prezzo è salito da 20 a 70 dollari.

Circa l’80 per cento degli esercizi commerciali di Ta’iz è chiuso. Il prezzo delle merci di contrabbando è salito alle stelle. I beni di prima necessità ora costano quattro o cinque volte di più. Persino il prezzo del pane è raddoppiato.

Alla fine di gennaio il Programma alimentare mondiale, Medici senza frontiere e la coalizione militare a guida saudita hanno avuto l’autorizzazione a far entrare piccole quantità di aiuti ma queste sono risultate del tutto insufficienti.

Bloccare gli aiuti umanitari è una grave violazione del diritto internazionale umanitario, soprattutto per quanto riguarda le forniture mediche. A Ta’iz è in corso una punizione collettiva nei confronti dell’intera popolazione civile.

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