Mentre quest’uomo scrive le ultime variazioni, fuori nevica e la campagna è bianca. L’identica campagna che, arroventata e tradita, aveva incontrato nelle pagine migliori di Bufalino o Consolo, complice di ogni suggestione arcaica, aveva ancora qualcosa da dire. Quest’uomo che guarda fuori dalla sua sala di registrazione verso la campagna innevata – mentre salgono al soffitto gli intrecci e gli acuti di un quartetto d’archi – ai piedi dei monti siciliani degli Iblei, aspetta l’Avvento.

È quello il titolo che vorrebbe dare al nuovo disco, poi ci ripensa: il disco si chiamerà “Sale”. Lui invece è Carlo Muratori. Immaginate un soldato in una specie di esercito della liberazione, in Sicilia, perché siamo in Sicilia, dentro una ideologia finita, orfano di un Quarto Stato, millantato e deluso, oltre le partiture popolari, dopo Rosa Balistreri, dopo Otello Profazio. Non parlare di Carlo Muratori, compositore e cantautore siracusano, è una omissione ingiusta. Sarebbe stato sottrarre merito a un fatto: la musica siciliana d’autore ignora le novene. Esiste, profonda e drammatica. “Sale” esce in questi giorni, per l’etichetta “Squilibri”. I video-clip sono stati girati a 200 metri di profondità, nella cattedrale salina di Realmonte, scavata nella miniera dove si lavora ancora e si estrae la materia di Salgado da imbarcare per l’America, enormi bastioni carichi di sale. Non è una metafora (Salgado nel film di Wenders, avete presente?), è così, un’orchestra sinfonica accompagna Muratori, nelle vene della terra, in questa produzione perfetta della Phoenix Media di Alina Catrinoiu, dentro la regia di Gian Maria Musarra, arrangiamenti di Stefano Melone.

“Cercavo ascoltatori un tempo – dice l’artista – oggi cerco soldati. Non esiste più un sangue siciliano, una volta erano i sindacati, certi partiti di una sinistra capace di mostrarsi combattente”. Finito tutto. “Sale” però lo racconta, il sangue siciliano. Oggi è una questione ibrida che non sa nemmeno dibattere. Muratori traduce tutti gli inganni persino storici, l’inganno dell’Unità d’Italia, che forse lo è stata per gli altri, non per i siciliani. O i siciliani di Bronte. E c’è un brano superiore (un esercizio di nobiltà), “Nicò”, che riferisce del massacro del 10 agosto del 1860.

Gli uomini di Garibaldi sparano sugli innocenti di Bronte, trucidano la resistenza. Nicò era Nicola Lombardo, l’avvocato socialista fucilato dalla truppe sabaude agli ordini di Nino Bixio. Questo disco si è guadagnato l’approvazione di Franco Battiato con il quale Muratori duetta nella rivisitazione in lingua di “Povera Patria”. Battiato lo ha ascoltato nella sua casa di Milo. Ci sono dei passaggi che hanno il significato di un rito privato e sacrificale. Carlo Muratori ammette: “Con una lingua si parla, con una lingua si scrive, con una lingua si vive. La difendo con i denti, la uso senza nostalgia”. Muratori sale sul palco e strappa il cuore dal petto, la gente scopre il sale delle lacrime quando diventano bellezza. La bellezza delle neve sulla campagna siciliana, mentre salgono al cielo le ultime note di un quartetto d’archi, mentre l’eco di una chitarra – o un salmo – precipita nell’abisso di una miniera di Realmonte.

da Il Fatto Quotidiano, 22 gennaio 2016

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