Se la guerra compie ogni giorno il miracolo dell’osceno, il cinema può opporle il miracolo della scena. Stavolta la controffensiva non è affidata a un war movie canonico, bensì a una commedia o, meglio, un dramedy (crasi di commedia e dramma) bellico che, con le debite proporzioni, si mette in scia alle pietre miliari di questo sottogenere, da To Be or Not to Be a M*A*S*H* passando per La grande guerra di Monicelli.

“Il nemico più grande è l’irrazionalità”, sostiene il regista spagnolo Fernando León de Aranoa, che conseguentemente fa deflagrare il nonsense: senza paraculaggine, ma conoscendo in prima persona quel che ci fa vedere, i Balcani del 1995 in precario equilibrio tra guerra e pace. Un’altra No man’s land, l’ennesimo homo homini lupus: siamo sempre lì, ma nell’attuale epoca di kamikaze o, meglio, attentatori suicidi Perfect Day incarna una splendida inattualità.

Qui non è la deflagrazione del proprio corpo l’arma, bensì un morto ancora capace di uccidere, che sia un cadavere buttato in un pozzo o la carcassa di una vacca in mezzo a una strada minata; qui non c’è l’Isis e la guerra in Siria, ma il pressoché dimenticato conflitto in Bosnia di appena 20 anni fa. Eppure, dice Aranoa, le analogie tra ieri e oggi si sprecano: “La risoluzione dei problemi non può prescindere dalla popolazione locale: Nazioni Unite e operatori umanitari devono affiancare e catalizzare questo processo”.

Tranquilli, il film non è serioso, bensì incarna l’auspicabile terza via tra il cinema d’autore duro e puro (Francofonia di Sokurov e Le ricette della signora Toku) e i nostrani stantii cinepanettoni: il filo rosso è l’ironia, una speciale ironia.

Non è solo questione del registro scelto per il racconto, ma di humour endemico, diegetico, connaturato alla storia e ai suoi protagonisti, quattro operatori umanitari: Mambrù, il carismatico e fascinoso leader del gruppo interpretato da Benicio Del Toro, il sodale, esperto e cinico B di Tim Robbins, il supervisore Katya della bella Olga Kurylenko e l’idealista, fresca Sophie di Mélanie Thierry di battute, sfottò, sarcasmo e reciproci motteggi ci vivono.

Letteralmente: senza sorridere, sarebbero spacciati, si consegnerebbero alla morte là fuori, ovvero mollerebbero il colpo dopo soli pochi mesi. Armi, bagagli e, ammesso ne abbiano una, casa dolce casa.

Già, l’ironia salva la vita, e non è il cuore buonista gettato oltre l’ostacolo, ma la documentazione sul campo ad asserirlo: Aranoa aveva già realizzato doc in Africa su Medici senza frontiere e l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) e ancor prima, nel febbraio del 1995, aveva girato in Bosnia. In breve, ha compreso quale sia “la non routine degli operatori umanitari: ogni giorno devono affrontare problemi diversi. Senza epica: sono gli idraulici della guerra”.

Idraulici non casualmente: Mambrù e compagnia solidale hanno un problema, tirar fuori dal pozzo del villaggio il cadavere di un uomo. Non ci è finito per caso, vi è stato gettato per avvelenare l’acqua e renderla inservibile: serve una fune per ripescarlo, ma trovarne una – la prima si rompe subito – sarà impresa più ardua del previsto. Per fortuna, c’è lo humour, che può quasi tutto e molto concede al sollazzo di noi spettatori.

Mambrù ha avuto una storia con Katya, e forse non è finita, di certo non è finita bene: si punzecchiano e pure i colori della cameretta – salmone o beige – corroborano la singolar tenzone. Non che gli altri se la passino meglio: Sophie non è molto considerata, B è atteso – nel migliore dei casi – solo dalle “battone”, dunque, come non farsi una bella risata allargata? Si ride, ma non si elude né elide il vulnus bellico: case bruciate per rendere impossibile il ritorno dei vicini; impiccagioni minacciate o realizzate; orfani di guerra; le mine lasciate in eredità e, dicevamo, l’aberrazione di morti ancora vivi nella capacità omicida.

Merito degli interpreti, credibili e affiatati, interessarci e legarci alla storia; merito di Aranoa, che già aveva ben fatto ne I lunedì al sole, procedere per sottrazione, levando ferraglia drammaturgica e fardelli edificanti: enfasi, certezze, colpi di scena non sono pervenuti. Non è così la vita?

Il Fatto Quotidiano, 10 dicembre 2015

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