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Paolo Tarsi realizza il sogno di molti dei migliori musicisti contemporanei, andando a pubblicare un album, Furniture music for new primitives (Cramps/POPtraits e Rara Records, 2015), nel quale ogni singolo passaggio, ogni singola nota, ogni singolo gesto sono inseriti nella visione di un tutto organico e logicamente organizzato. Logica che non toglie spazio al flusso della coscienza: una precisa consapevolezza, quella dell’essere qui, ora, attraversa tutto l’ultimo lavoro del musicista senigalliese.

Un album che oltre a investire tutte le energie compositive del suo autore, va a coinvolgere il talento di una nutrita schiera di musicisti: dall’interpretazione del brano Electric Sakuhin, a cura dei Junkfood di Paolo Raineri e Michelangelo Vanni, alla trikanta veena (chitarra a tre manici) di Paolo Tofani degli Area, gli archi del Quartetto Maurice e le interferenze elettroniche di Roberto Paci Dalò in Construction dans l’espace et le silence; dall’organo di Gianni Giudici nel brano In the total animal soup of time al sassofono di Michele Selva in The melody haunts my reverie. Fino poi al brano Cluster #2, dedicato al leggendario tastierista dei Pink Floyd, Richard Wright, e scritto appositamente per il duo composto dall’ex Afterhours Enrico Gabrielli e il percussionista Sebastiano De Gennaro.

Instancabile performer, autore di numerose installazioni per gallerie e musei d’arte contemporanea come il MAXXI di Roma e il MUSMA di Matera, Paolo Tarsi, oltre a fare diretto riferimento, come il titolo del suo album denuncia, all’ultima fase creativa di Erik Satie, coniata dallo stesso come musica da tappezzeria, affida all’ultimo brano del suo nuovo album, unico in scaletta a godere dell’apporto della voce umana (seppur esclusivamente narrante), l’enunciato che va a firmare l’intero suo lavoro: “Niente è vero. Tutto è permesso”, frase contenuta ne La Città della Notte Rossa, romanzo del 1981 di William S. Burroughs.

Furniture music for new primitives racchiude in sé esperienze compositive e di ricerca fra esse molto distanti, sebbene tutte concentrate a partire dalla seconda metà del secolo scorso: dalla musica minimalista americana, che nel lavoro di Tarsi si erge a elemento strutturale e fondante, fino al rock sperimentale e all’improvvisazione del jazz più estremo. Minimalisti sono i fraseggi di molti degli strumenti che dialogano su veri e propri corpi magmatici realizzati spesso con strumenti e timbri elettronici, come nel brano Electric Sakuhin, nel quale la tromba di Paolo Raineri commenta quasi interamente il decorso sonoro con sole due note, suonate di volta in volta, ostinatamente, su valori ritmici differenti, sempre uguali a sé stesse nonostante il continuo e progressivo mutare delle sottostanti armonie.

Un brano, questo, complesso, drammatico, tutto sviluppato a partire da un inciso elettronico che rimbalza stereofonicamente da un lato all’altro dello spettro d’ascolto, senza soluzione di continuità dall’inizio alla fine del pezzo. Singolare poi il dipanarsi dell’orientaleggiante e originalissimo strumento a corde di Paolo Tofani in Construction dans l’espace et le silence, laddove il suono della sua trikanta veena, in fraseggi liberi e super effettati con delay, viene sorretta dagli archi del Quartetto Maurice che, in una vera e propria contemplazione sonora, esegue armonie dissonanti affidandosi a fraseggi, anche qui, estremamente minimalisti. Il suono è dritto, teso, senza alcuna vena o carattere interpretativi, umani, quasi a voler segnare la fine del movimento, in un’immobilità foriera di attesa, attenzione, immortalità. Un album, Furniture music for new primitives, che ricorda, dal primo all’ultimo momento, quanto sia essenziale che ogni singola nota sia sempre sorretta da un pensiero, da una visione, da un motivo, da una profonda ragione.

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