China sul buffet, attira la sua attenzione una donna con la giacca a scacchi neri e rossi: “Somiglia a Susan Sarandon”, dice Franco Battiato. Continua ad affidarsi a fisiognomica e curiosità. A bere acqua gassata. A evitare veleni: “Ho smesso di fumare nel 1984” e animali sulla tavola: “A un certo punto mi hanno fatto orrore”. A mangiare poco dopo mezzogiorno e ad alzarsi nel cuore della notte: “Alle tre e mezza del mattino, ogni giorno”. A settant’anni, ogni cosa è relativa. Le cose passano, le mamme imbiancano e anche l’ultima doppia fatica in uscita a novembre per Universal – da un lato un disco triplo, Le nostre anime – con inediti, rivisitazioni e riscoperte, dall’altro un lussuoso compendio di mezzo secolo di scorribande – sei cd, quattro dvd, decine di canzoni, litografie e istantanee del Battiato dalla magrezza ascetica, del Franco ragazzo con la barba, sotto la luna piena, seduto per terra con gli studenti e gli amplificatori a fianco, in cappotto a Catania, Milano o Kathmandu – riveste un’importanza momentanea: “Non ho neanche letto i testi che accompagnano la raccolta”.

Le nostre anime è un’antologia completa: c’è il Battiato sperimentalista, il Battiato de La Voce del Padrone, il Battiato regista.
È un distillato delle cose che ho fatto, le canzoni ci sono cadute dentro quasi per inerzia, se avessi dovuto mettere insieme proprio tutta la mia produzione avrei finito nel 2025.

È contento del percorso compiuto?
Ho scritto canzonette dai buoni testi e cose più serie.

In una bella intervista di Giancarlo Dotto aveva definito “canzonetta” anche Centro di gravità permanente.
Ma certo, esistono le categorie. A volte scrivi per divertirti, altre ti interroghi sulla spiritualità. Se devo razionalizzare il mio percorso non mi va di nascondere la verità.

E qual è la verità?
Che certe canzoni, penso a Sentimiento nuevo che cantavo con Alice, erano un po’ delle cazzate. Cazzate divertenti e tendenti all’alto, ma pur sempre cazzate.

Si rifiutava di riconoscere a certi brani un valore artistico?
Quando feci ascoltare Prospettiva Nevskji a Giusto Pio mi disse “È bellissima” e quasi mi ribellai: “Come è bellissima? A me sembra una cazzata”.

Del successo – ha detto – non mi è mai importato nulla.
È vero. A essere più preciso, gli anni più difficili della mia vita hanno coinciso con il successo sfrenato. Dal ’78 all’82 ho sofferto.

Gli albergatori facevano entrare di soppiatto i fan a fotografarla nel cuore della notte.
Ero in Versilia, mi svegliai all’improvviso, mi ritrovai i fan a scattare foto sul ciglio del letto. Ero assediato e alla popolarità reagivo con turbamento. Che volevano da me? Non lo capivo.

La Voce del Padrone vendette più di un milione di copie.
Quel disco non aveva niente a che vedere con lo sperimentalismo degli Anni ’70, ma dietro c’era comunque un lavoro e io nella vita non mi sono mai pentito di niente. Gli invidiosi dicevano: “È facile”. Il vero Battiato ci ha traditi, lo abbiamo perso nel ’75”. Non era vero e si sbagliavano di grosso, ma visto che vendevo era più facile sostenere che mi fossi piegato al sistema.

Ne Le nostre anime, tra Fetus e Pollution, c’è posto anche per quello sperimentalismo.
Sono stati anni folli, i ’70. Giocavo con i suoni, con le distorsioni, con i sintetizzatori. Avevo per le mani qualcosa che nessuno aveva mai osato proporre.

Prima ha citato Alice. Da febbraio ad aprile, dopo tanti anni, sarete nuovamente sul palco insieme: venticinque date, venticinque concerti nei teatri di tutta Italia.
Siamo sempre stati amici, le voglio bene, non l’ho riscoperta di colpo. Ci alterneremo sul palco, poi canteremo insieme. Ma inizio io, così la salvaguardo.

Alcune sue vecchie canzoni, Battiato, si suonano remixate nelle discoteche.
Pensi che a Madrid, ho visto più di duemila persone cantare in sincrono e in italiano Cuccuruccuccù senza mai andare fuori tempo.

Viaggia, suona, scrive. Non si ferma mai.
Non mi fermo mai, è vero: “Non ti stancare” mi dicono tutti. E io non do retta.

Ormai è un venerato maestro. Si ricorda la tripartizione arbasiniana?
Vagamente.

La carriera dello scrittore italiano ha tre tempi: brillante promessa, solito stronzo, venerato maestro.
Io sarei stato anche il solito stronzo? La ringrazio.

No, Battiato, lei è un venerato maestro.
Non voglio essere chiamato maestro, mi dà fastidio. Maestro di che cosa? Sono stato fortunato, protetto da un patto stabilito altrove, ho avuto delle grandi soddisfazioni da quelli che stanno sopra di me.

Da chi?
(Alza il dito, guarda in alto) Da questi tipi qua, le meccaniche celesti che cantavo le ho incontrate veramente.

Iniziò a meditare presto?
Da “autodidatta”. Mi sdraiavo per terra e iniziavo a viaggiare per conto mio. Un giorno venne da me Juri Camisasca, cantautore e amico fraterno, tutto eccitato: “C’è un guru pazzesco, devi venire ad ascoltarlo, sbrigati, è l’ultima lezione, finiscono i posti”. Mi feci convincere e arrivammo sul posto.

Descriva.
Un centinaio di persone e il guru al centro, circondato da due leccaculo. Entro, mi sdraio per terra e me ne vado con la testa. Dopo cinque minuti sento una voce nelle orecchie e vedo il vicino che mi scuote: “Guarda che il guru ce l’ha con te”.

Cosa voleva?
Non gli piaceva che mi fossi sdraiato per terra: “Mi dica”, gli faccio. E lui: “In quella posizione stanno solo gli animali”. “Si vede che sono un animale”, dico soave e lo vedo impazzire. Gli si deformano i lineamenti e inizia a urlare. I leccaculo, gli sgherri, i servi si agitano e si indignano, sembra mettersi male.

E si mette male?
Macché, gira in trionfo. Gli allievi se la prendono con il guru, lo cacciano, lo contestano. Li avevo liberati, mi fecero festa, fu un piccolo momento di gloria.

A Luca Valtorta di Repubblica ha raccontato di qualche momento meno glorioso vissuto ai tempi della leva militare.
Ci avrei dovuto fare un film sulla mia leva, avrebbe spopolato. A Cassino, da dove partì la storia, marcai subito male. Mi sembrava di stare sulla luna, non capivo niente e andavo in giro con le maniche che arrivavano a metà della mano e un aspetto evidentemente troppo trasandato per i parametri militareschi. Mi ferma un bruto, un generale napoletano, un vero figlio di puttana che mi prende a male parole: “Come cazzo vai in giro? Non ti vergogni”. Aveva 25 stellette sulla giacca: “Sta parlando con me?”, abbozzo e lui, rosso in volto: “Vedi qualcun altro intorno?”. Gli stava venendo un infarto. Da quel momento mi puntò. Decise di farmela pagare. Quando dimagritissimo, mi feci ricoverare per un sospetto esaurimento, si avvicinò minaccioso: “Ti devo mandare al Celio di Roma, ma siccome tornerai sicuramente qui, ti farò pulire i cessi con la lingua”.

Le venne risparmiata l’incombenza?
A Cassino non tornai e fu una fortuna, perché quel generale mi avrebbe rovinato.

Lei era impulsivo?
Molto, ma oggi sarei meno impulsivo. All’epoca, per un alterco sui capelli lunghi, venni sbattuto anche in carcere militare. “Faccia di merda, vatti a tagliare i capelli”, mi dissero e a nulla valse il consiglio in tempo reale di Juri Camisasca: “Mettiti la lacca sui capelli così non devi tagliarti niente”. La mattina dopo venni convocato e per l’espediente della lacca, i graduati manifestarono disgusto: “Sei un’indecenza, Battiato”. Ebbi il torto di rispondere.

E cosa rispose?
“Si faccia psicanalizzare”, dissi al militare. Come le ho detto mi misero in galera. 10 giorni. “Non puoi fumare”, dicevano, però io fumavo lo stesso. Tra congedi e sospensioni, la leva non è durata poi tantissimo, ma fare il militare è stato un incubo. La sola idea di sparare mi faceva sentir male.

Si sente più a destra o a sinistra?
Sto in alto.

La politica di ieri?
Mi era simpatico Pannella. Un giorno, per un calcio di troppo tra il servizio d’ordine e i carabinieri ai margini di un comizio radicale a cui avrei dovuto suonare, mi ritrovai nel bel mezzo di una rissa. Della politica mi importa sempre meno. E sono felice che non mi chieda di Renzi e Berlusconi, tanto qualunque cosa si dica, il quadro complessivo non cambia.

Franco Battiato è misogino, a Franco Battiato non piacciono le donne.
Vere cretinate dette da chi non sa neanche cosa voglia dire misoginia. Ho avuto molte storie, non tutte lunghe e al matrimonio non ho mai pensato. La sola idea mi fa venire voglia di spararmi.

Le storie “non tutte lunghe” furono importanti?
La prima risale alla fine degli Anni ’60. Lei era sposata e gestiva una discoteca enorme. Mi chiamava quando il marito partiva, è andata avanti per un po’.

Era sposata, non si sentiva in colpa?
Ma che scherza? Lei mi si infilò nel letto e a quel punto, cosa avrei dovuto fare? Am I making my self clear?

È stato chiaro. E gli amici? Li ha conservati? Li ha persi?
Non ne ho perso neanche uno e non ho rimpianti, né delitti da confessare: della remissione dei peccati non sono stato mai un gran sostenitore.

E neanche della convivenza par di capire.
Guardi, una volta con una ragazza pensai anche: “Questa è quella giusta”.

E poi cosa accadde?
Uscii presto, comprai tre yoghurt, li misi in cucina e poi andai a fare una doccia. Una volta lavato, gli yoghurt non c’erano più.

Li aveva mangiati tutti lei?
Tutti e tre. Ora dico, se ne avesse lasciato almeno uno, avremmo parlato di altro. Ma li aveva fatti fuori tutti. Un saggio di egoismo, non solo simbolico. Tra noi la storia non poteva funzionare e infatti si arenò.

Lei è cresciuto con le sue zie e con sua madre, in una famiglia matriarcale.
Le zie sarte, quella straordinaria donna di mia madre, i parenti che andavano e venivano dall’America.

Andava e veniva anche suo padre, Turi.
Non c’era quasi mai. Ho sognato che si reincarnava in un cane e che era giudicato da un severo tribunale composto da 10 persone: “Suo padre entrerà nei regni inferiori”. Io testimoniavo a suo favore: “Non ce l’ho con lui, se condannandolo pensate di premiarmi vi siete fatti un’idea sbagliata”.

Uno strano sogno. Che rapporto ha con la memoria.
Mi ricordo tutto e non dimentico nulla. Per esempio mi ricordo di un meraviglioso pianoforte che mi regalarono le suore all’età di 16 anni. Una mia amica mi disse che dovendo liberare un convento, lo vendevano a basso prezzo. Mi presentai e la madre superiora me lo sbolognò senza pretendere una lira. Pensava fosse rotto e invece era solo scordato. Mi sentii felice.

Che rapporto ha avuto con la critica?
Me ne sono sempre fregato.

E con l’adulazione?
Direi che me ne sono sempre fregato.

Apprezza la sincerità?
Dipende dal garbo, dalla formula, dalla grazia. Poi se sei sincero fino a essere urticante devi aspettarti che anche l’altro possa rispondere con la stessa moneta. Nel 1980, alla fine di un’esibizione delirante con 5.000 persone, Dario Fo mi aspettò all’uscita del concerto.

Cosa le disse?
“I tuoi testi non mi piacciono”. E io risposi: “E a me che cazzo me ne frega?”. Eravamo sullo stesso piano, a quel punto. Ma non mi ritengo intoccabile, anzi. Se mi avesse criticato in un’altra maniera avrei anche apprezzato. È sempre il modo. Si può essere critici senza essere brutali. Una volta in motoscafo a Venezia ero con Nanni Moretti. Vide una ragazza corpulenta e la investì: “Ma non ti vergogni di pesare così tanto?”. Rimasi di stucco.

Rimase di stucco anche quando Di Lernia, dirigente della Emi, le chiese di suonare per Giovanni Paolo II?
A Battià, te vole er Papa”. Così disse. Un po’ stupito ero, sì.

E suonerebbe per Bergoglio?
Ci andrei, sì. È un Papa anomalo.

Le piacciono gli anomali?
A volte sono molto simpatici.

Nomi?
Loredana Berté. La incontro in aereo e mi fa: “A Battià, dove vai?”, “Dove vai te?” rispondo. Poi parliamo e la guardo un secondo di troppo. Lei scorge ammirazione, si alza il pullover e senza preavviso mi fa vedere le tette. “Loredana, ti dico la verità, sono bellissime”. Avrei voluto uno specchietto retrovisore puntato sugli altri passeggeri.

Altri anomali: Celentano.
All’inizio Adriano, soprattutto per mia incapacità di valutarlo, non mi piaceva per niente. L’ho riscoperto dopo: quando azzecca la canzone è straordinario. Chi mi piaceva molto, un tipo veramente simpatico, generoso e squinternato era Jannacci. “Sei minuti all’alba/el gh’è gnanca ciar/sei minuti all’alba il prete è pronto già”. Sapevo le canzoni a memoria.

Il denaro è stato importante?
Mai. L’ho donato e quando non l’avevo, mi sono sempre arrangiato. Anche in modo acrobatico. Frequentando gli artisti, dal trapezio capitava di cadere. Una volta, ero a Roma, mi invitano a cena in trattoria Giancarlo Nanni e Manuela Kustermann. Parliamo, beviamo, scherziamo e a un certo punto i due iniziano a litigare selvaggiamente. Volano schiaffi, colpi proibiti, si picchiano proprio. L’oste ci cacciò: “Ma con che gente si accompagna”, mi disse sprezzante. Sembrava un film.

Non gira un film da molti anni. Che fine ha fatto il progetto su Händel?
È pronto, aspetta da cinque anni e finalmente ho trovato il produttore. I tedeschi credono al film. Mi concentrerò sul rapporto conflittuale con il padre, sulle difficoltà iniziali di Händel, sul suo viaggio in Italia e sul complicato rapporto con gli italiani. La storia parte da lì. Gireremo a Roma, a Londra, in Germania e a Venezia, se dio vuole, in autunno.

Ha già scelto un attore per interpretare Händel?
È Johannes Brandrup. O è lui o il film non si fa.

E il film si fa?
Si fa, si fa, il film si fa. E ho il sospetto che sarà bellissimo.

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