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Egitto, cosa si rischia a denunciare un omicidio. Una storia a lieto fine

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Piazza Tahrir

Dall’Egitto arriva un positivo aggiornamento a un post di alcuni mesi fa, che merita di essere raccontato alle lettrici e ai lettori di questo blog.

Il 24 ottobre 17 imputati (tra cui 13 militanti del Partito dell’alleanza popolare socialista) sono stati prosciolti dall’accusa di “manifestazione non autorizzata”, per la quale rischiavano fino a cinque anni di carcere.

In realtà si è trattato della seconda assoluzione: la prima c’era stata a maggio ma la Pubblica accusa aveva fatto ricorso sollecitando un nuovo processo. Terminato, per fortuna, come il primo.

L’assoluzione definitiva è giunta a 10 mesi esatti di distanza dalla tragica manifestazione del 24 gennaio. Quel giorno, al Cairo, i militanti socialisti avevano organizzato una simbolica marcia coi fiori, diretta a piazza Tahrir per ricordare i “martiri della rivoluzione” del gennaio 2011.

La polizia aveva aperto il fuoco senza preavviso, uccidendo la 32enne Shaimaa al-Sabbagh. Alcuni testimoni oculari si erano affrettati a denunciare l’episodio per essere incriminati a loro volta. Tra questi, Azza Soliman, avvocata per i diritti umani.

Appena prosciolta, Azza Soliman ha inviato ad Amnesty International questo messaggio:

“Se non fosse stato per la vostra solidarietà, non sarei stata in grado di resistere. La solidarietà è ciò mi ha dato la forza di resistere all’ingiustizia e alla disperazione, mi ha dato la carica, l’ho sempre avvertita dietro di me”.

Nel frattempo, l’agente che ha ucciso Shaimaa al-Sabbagh è stato condannato a 15 anni di carcere da scontare in una prigione di massima sicurezza.

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