Questa Comèdie di via Negri comincia così: “Ai soldi ho sempre guardato, sarà perché sono nato povero. Mio padre è morto quando avevo sei anni: ho solo qualche flash, sfocato, di lui. Mia madre aveva tre figli e ha dovuto lavorare sempre: siamo cresciuti così, un po’ per conto nostro. Ho fatto le medie al liceo ginnasio, poi io ho fatto tutto da solo, perché a 14 anni e mezzo ho cominciato a lavorare. Sono stato assunto come il fattorino in un negozio di cristalli”.

Vittorio Feltri si accomoda alla sua scrivania, da cui fatica parecchio a stare lontano. Sopra la libreria c’è un busto di Mussolini, così in alto che tocca il soffitto: “Per me, nato nel 1943, l’antifascismo non è mai stato in discussione. Il busto l’ha mandato un oste, simpatico ma fascistissimo. L’ho messo lì per non vederlo”.

Dopo il negozio di cristalli?
Sono passato a una bottega di confezioni, intanto ho fatto un corso di vetrinista. Una cosa che mi ha poi aiutato anche in questo mestiere, perché fare una vetrina è come fare una prima pagina. Fidati, è la stessa cosa. Siamo verso la fine degli anni Cinquanta: era abbastanza facile trovare lavoro, però bisognava lavorare. Ho preso questo diplomino che ancora conservo. Mentre la laurea superflua in Scienze politiche non ricordo dove l’ho messa.

“Al denaro ho sempre badato: sono nato povero. Ho cominciato a lavorare a 14 anni, poi sono stato assunto in Provincia: il capostipite dei fannulloni”

Ha continuato a studiare?
Sì, ma da solo. Ho fatto un concorso in Provincia, sai quell’ente che hanno fatto finta di abolire? Sono arrivato quarto, la commissione non aveva nessuna voglia di prendere uno come me: c’era gente più vecchia, che aveva famiglia. Ho fatto un tema d’italiano che è andato un po’ oltre le aspettative… Sono stato il capostipite dei fannulloni. Ed ero l’unico, perché lì lavoravano tutti bene, i bilanci erano perfetti, la prefettura controllava anche le virgole. Però a me non piaceva, mi annoiavo. Allora ho cominciato a collaborare all’Eco di Bergamo. Un mio collega impiegato faceva anche il critico cinematografico. A me del cinema non fregava nulla, non avevo nessuna cultura. Mi piacevano i giornali, da morire. Così ho iniziato come vice critico cinematografico.

Quanti anni aveva?
Una ventina. Poi mi sono sposato, perché ho messo incinta una ragazza. Allora questi incidenti capitavano frequentemente. Le ragazze mi piacevano, lì in Provincia ce n’erano molte, è stato un pascolo notevole. Dopodiché conosco questa ragazza, mi piace da morire, la metto incinta: due gemelle! Ma lei è morta, in conseguenza del parto. È stato uno choc terrificante: non sapevo cosa fare, dove mettere queste bambine. Nel frattempo ero stato trasferito al brefotrofio, gestito dalla Provincia come il manicomio. Allora lì ci ho portato le mie bambine. Una delle responsabili della struttura era una signora giovane. Teneva anche le mie gemelle, le guardava, le curava: l’ho sposata. Lei non mi voleva, l’ho corteggiata a lungo e poi alla fine ce l’ho fatta. E ha preso le bambine, le ha fatte diventare grandi: sono legatissime alla madre, culo e camicia. Da lei ho avuto Mattia e per ultima Fiorenza, che è arrivata per caso.

Torniamo ai giornali: l’Eco di Bergamo l’ha assunta?
Macché, assumevano sempre gli altri. Anche allora funzionavano molto le raccomandazioni: io non ne avevo. Poi era il giornale della Curia, io ero socialista, per quei tempi praticamente un brigatista. Un collega che mi stimava mi ha segnalato alla Notte: cercavano un praticante. Così ho attenuto un colloquio con il direttore, Nino Nutrizio, un tipo che dava del voi e metteva parecchia soggezione. Avevo i battiti cardiaci a 240. A bruciapelo mi fa: “Collaborate da anni con l’Eco di Bergamo e non vi hanno ancora assunto: non sarà che siete cretino?”.

“All’Eco di Bergamo assumevano sempre gli altri. Anche allora funzionavano molto le raccomandazioni: io non ne avevo. Poi era il giornale della Curia, io ero socialista, per quei tempi praticamente un brigatista”

E lei?
Silenzio. “Vabbè: l’Eco non vi ha preso, ma essendo uno dei giornali più inutili al mondo il dubbio è molto forte. Vi metto alla prova: tre mesi alla redazione staccata di Bergamo, se supererete la prova entrerete in pianta stabile. Se no, tanto vale cambiar mestiere. In ogni caso sarà un bene per voi e per noi, che di cretini ne abbiamo già abbastanza”.

La prova, c’è da immaginarsi, è andata bene.
Prima di Natale il mio capo mi aveva lasciato in gestione la baracca. Ero un po’ spaventato, però subito succede un fattaccio: una prostituta viene accoltellata in casa dal fidanzato, davanti a una bambina di tre anni, mentre affettava il panettone. Scrivo il pezzo e lo mando fuori sacco. Nessuno mi dice niente. Alle due del pomeriggio vado in edicola e prendo in mano la pagina bergamasca della Notte – che come quella di Brescia era l’ultima pagina… Niente, non c’è un cazzo. Disperazione! Neanche una breve… Poi giro il giornale, con un automatismo, avevo i lucciconi agli occhi. E vedo Vittorio Feltri in prima pagina! Il titolone di apertura, non avevano cambiato neanche una virgola. Squilla il telefono, dall’altra parte c’è la segretaria di Nutrizio, che poi ho preso a Libero: “Il direttore ti deve parlare”. E mi fa: “Contrariamente a quanto temevo avete superato la prova. Il vostro pezzo di questa mattina è stato di mio pieno gradimento. Siete assunto ma non montatevi la testa, perché siete solo un cronista e tale rimarrete per tutta la vita”.

Resta lì fino al ’74, giusto?
Quando Indro ha fondato il Giornale, ha svuotato il Corriere e la sua edizione pomeridiana, il Corriere dell’Informazione, dove sono stato preso. Quando sono andato a dire a Nutrizio che me ne andavo mi ha dato dell’infame. Poi ho saputo che era stato lui a segnalarmi! Nel ’77 sono passato al Corriere della Sera, fino all’83. Un anno prima era arrivato Cavallari: non ci sopportavamo. Mi hanno offerto la direzione di Bergamo Oggi, ho detto sì. Dopodiché in via Solferino c’è stato un cambio della guardia. E io sono tornato, con un espediente stupendo: ho pubblicato sul mio giornale il primo fondo di Ostellino.

“Il direttore della Notte che mi fece il primo colloquio mi chiese: ‘Collaborate con l’Eco e non vi hanno ancora assunto: non sarà che siete cretino?'”

Scusi, ma veramente l’ha fatto apposta?
Certo che sì. Lui la mattina dopo mi ha telefonato: “Per te le porte di via Solferino sono sempre aperte”. Mi sono presentato ed effettivamente le ho trovate aperte. Ostellino si è messo a ridere e mi ha assunto. Dopo me ne sono andato per fare il direttore dell’Europeo. Dove ad attendermi, come benvenuto, i colleghi hanno fatto due mesi di sciopero, un record mondiale. Mi è salita la pressione a livelli…

Le redazioni non scelgono e non cacciano i direttori: è cosa nota.
Mi ritenevano politicamente non omogeneo e probabilmente mi consideravano un cretino. Magari non a torto. Non ero più socialista da anni, ma mi avevano attribuito la patente di craxiano: sul Corriere della Sera facevo l’anticomunista. Comunque all’inizio non è stato semplice: settimanale e quotidiano sono mondi separati.

Poi l’Indipendente?
L’Indipendente l’aveva fondato nel ’91 Ricardo Franco Levi – con una C sola, lo chiamavamo ‘il refuso’ – che voleva un giornale elegante, una sala da tè inglese. Infatti non vendeva una copia. Gli editori, disperati, mi hanno chiesto se volevo tentare di resuscitarlo. Avevo fatto decollare l’Europeo: il fenomeno Lega era all’inizio, ma io ero molto attento. Tant’è vero che, ancora oggi!, mi accusano di essere leghista. Quando sono andato all’Indi, l’ho cambiato completamente: da sala da tè l’ho trasformato in una trattoria. Ho sfruttato tantissimo Mani Pulite. Quando è arrivata la notizia di Chiesa, l’ho pompata subito. Ero amico di Di Pietro…

“Ero amico di Di Pietro. Mi dava delle notizie pazzesche. E quando è scoppiato Mani Pulite mi ha chiesto di dargli una mano”

Perché era amico di Di Pietro?
Era stato a Bergamo a fare il pm: mi dava delle notizie pazzesche. Quando è scoppiata Tangentopoli, Di Pietro mi ha chiesto di dargli una mano. Gli ho fatto un’intervista, e sono diventato una specie di organo ufficiale di Mani Pulite. Ci ho dato dentro, con titoli tipo ‘Sgominata un’altra giunta, evviva!’. Il giornale ha cominciato a crescere. Insomma, quando sono arrivato io erano a 17mila copie. Dopo cinque-sei mesi, viaggiavamo verso le 60mila.

Merito anche dei giornalisti.
Certo, sennò non vai da nessuna parte. Da solo non fai niente, sei solo la ciliegina sulla torta. Sono stato da Maurizio Costanzo a fare Uno contro tutti. Quella sera ero in forma, gli altri sapevano poco delle vicende di Milano. Ho fatto il padrone: quella puntata mi ha portato 20mila copie, non le ho più perse. Per fartela breve, quando sono venuto via dall’Indipendente per sostituire Montanelli, l’Indipendente aveva superato il Giornale, come quantità di copie: più di 120mila.

Qui casca l’asino. Massimo Fini dice: hai tradito per soldi, ti sei venduto. E poi: “Feltri ha la moralità di una biscia”.
Con Massimo ho conservato, nonostante tutto, un buon rapporto. Ma non esiste vendersi, perché io faccio il giornalista e come giornalista vado dove voglio. Non è una missione fare il direttore di un giornale, mentre Fini è convinto che sia come fare il prete. È una professione, vado dove conviene a me, non a Fini o ai miei colleghi.

L’obiezione è: dirigeva un giornale bellissimo, è andato da Berlusconi nel momento peggiore, quello della discesa in campo.
A me interessava sostituire Montanelli. Non è vero che ho avuto trattative prima. Berlusconi mi aveva fatto proposte assurde, persino quella di dirigere il TG5, quando c’era già Mentana. Figurati se potevo fare una roba del genere. Quando Montanelli se n’è andato, mi hanno chiamato: ho parlato con Berlusconi Silvio e con Berlusconi Paolo. Mi sono fatto pagare bene. Non che guadagnassi male dall’altra parte: 500 milioni. E qui un miliardo.

“Mi piaceva l’idea di sostituire Montanelli e di mantenere le copie di Montanelli. E sono raddoppiate. Io non mi sto dando delle arie, perché le opinioni si discutono, i fatti no”

Beh, pas mal: il doppio.
Un miliardo, nel ’94, hai presente che cos’era? E chi è lo scemo che ci sputa su? Io non l’ho mai fatto diventare un house organ di Berlusconi, tant’è che a me neanche mi chiamava Berlusconi. Ma subito, l’estate successiva, mi volevano cacciare per opera di Giuliano Ferrara.

Cioè?
Infuriava Mani Pulite. E il ministro della Giustizia del governo Berlusconi voleva fare il colpo di spugna, il decreto Biondi. Feci un fondo, dicendo che era una fregnaccia, il momento era sbagliato, sarebbe successo un casino: avevo ragione. Se avessi fatto l’house organ mica pubblicavo quell’articolo.

Montanelli era un totem. Nel prendere il suo posto, non ha avuto nessun timore, nessun rimorso?
Me la facevo addosso addirittura. Ma era questa sfida che mi piaceva e che Fini non ha capito: a me piaceva l’idea di sostituire Montanelli e di mantenere le copie di Montanelli. E sono raddoppiate. Io non mi sto dando delle arie, perché le opinioni si discutono, i fatti no.

Comunque il punto è: dirigeva il giornale di proprietà del presidente del Consiglio.
Mica dicevo che Berlusconi era un cornuto. Come alla Stampa: non ho mai visto un articolo che dicesse ‘le Fiat sono bare a rotelle’. Perché, il Corriere non è un house organ?

Il problema dell’editoria italiana è che non esiste l’editore puro.
Infatti, poi ho fondato Libero. Me ne sono andato perché ne avevo piene le balle. Dopo quattro anni… I giornali sono come le donne, a un certo punto ti stufi. Avevo capito che la situazione stava marcendo e me ne sono andato.

Poi è cominciata la staffetta con Belpietro.
Il giovane Belpietro, l’avevo scoperto a Bergamo oggi ed era diventato il mio uomo di riferimento. Mi ha seguito all’Europeo, all’Indipendente e al Giornale.

“A forza di tagliare fette, da Casini a Fini alla Meloni, del centrodestra è rimasto il culetto. Dove vai col culetto, scusa?”

Col senno di poi che dice della vicenda Boffo?
È una cosa successa sei anni fa, una vicenda gestita male anche perché non l’ho gestita. Arriva Sallusti – che era il mio condirettore, non il fattorino del giornale – e mi racconta questa cosa, io dico “Ma sei sicuro?” – “Sì, sono sicurissimo”.

È vero che ha battezzato Sallusti e la Santanchè “Olindo e Rosa”?
Una battuta infelice. Però l’ho fatta, non posso negare.

Berlusconi è politicamente morto?
Mi sembra del tutto evidente. Che poi non ci stia a morire è del tutto normale. Anzi, ha ancora delle reazioni abbastanza vitali. Però la situazione e quella che è. Il centrodestra, nel 2008, era un bel salame. La prima fetta la taglia Casini, che se ne va. La seconda Fini. La terza fetta l’ha tagliata Alfano. Poi, altra fetta la Meloni, insieme con quello…La Russa. A Berlusconi è rimasto il culetto. So che a lui piace il culetto, però è il culetto. Quindi adesso il salamone è diventato un culetto. Dove vai col culetto, scusa?

Renzi.
Ho fatto il tifo per lui quando doveva diventare segretario del Pd, mi sembrava se non altro un innovatore. Ma era un innovatore per finta, si è comportato come un qualsiasi Enrico Letta, come un Monti. Dice ‘faremo questo, faremo quello’, ma i risultati non arrivano. È riuscito a non usare uno come Bersani, che gli poteva evitare la figura di merda che ha fatto in Liguria. E non l’avrebbe mai messa la Moretti in Veneto, capisci? Questo ragazzotto non è neanche cinico abbastanza per usare le persone. No, le attacca e le mette in un angolino. E allora perdi.

“Mi piace fare questo mestiere, fa bene anche alla salute: tu dici quello che pensi. Ma chi è che ha questo privilegio? Peccato che oggi non ti legge più nessuno”

Ma che sindrome è questa?
Di onnipotenza. E di presunzione. Di faso tuto mi. Berlusconi è un po’ così. È come nei giornali: io non ho mai pensato di far tutto io…

Come sta il giornalismo?
Siamo abituati a fare quotidiani-supermercato. Quando ho cominciato, il giornale doveva aver tutto. Oggi ci sono notizie dappertutto. Però a me piace scrivere. Per me è salutare anche se ho una mezza idea, intera non ce l’ho mai. Poi, se riesco a rileggere il pezzo, se c’è una cacofonia, una ripetizione – capita, no? – se riesco a correggerlo, perché quando lo rileggo la mattina e va via liscio, sono contento. Per poco, per cinque minuti, poi devo pensare a qualcos’altro. Però mi piace fare questo mestiere, fa bene anche alla salute: tu dici quello che pensi. Ma chi è che ha questo privilegio? Peccato che oggi non ti legge più nessuno.

da Il Fatto Quotidiano del 22 agosto 2015

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