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Fame nel mondo: Oxfam sfida la povertà partendo dalle donne

Fame nel mondo: Oxfam sfida la povertà partendo dalle donne
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Le tragedie ci sembrano immani solo se ci toccano da vicino: solo se vediamo arrivare i barconi pieni di profughi che scappano dalla fame e dalle guerre; solo se i telegiornali mandano in onda immagini di catastrofi naturali che provocano migliaia di vittime; solo se un caso di cronaca accende la luce sul degrado più inammissibile. Così mi sembra molto importante ricordare chi da sempre (e tutto l’anno) lotta contro miseria e discriminazioni. Come Oxfam (www.oxfamitalia.org) nata nel 1942 in Gran Bretagna, tra le più importanti Confederazioni Internazionali nel mondo, specializzata in aiuti umanitari e progetti di sviluppo volti a individuare soluzioni concrete e permanenti alla povertà (il miglior canale per un possibile riscatto? Lo sviluppo rurale).

Oltre a lavorare direttamente nei paesi in via di sviluppo per influenzare le politiche economiche e sociali di governi e istituzioni; oltre a intervenire nelle emergenze umanitarie (come è accaduto di recente in Nepal); oltre a proporre stili di vita responsabili, che tutelino i più vulnerabili; Oxfam ha avuto il grande merito di porre la questione sull’empowerment femminile (ricordando anche il ruolo delle donne come “nutrici” del pianeta, in perfetta sinergia con i progetti di “Women for Expo”). Perché milioni di donne, nei paesi in via di sviluppo, sono costrette a ingaggiare una battaglia quotidiana per sfamare i propri figli, lottando contro la fatica, le intemperie e soprattutto contro le discriminazioni. Perché se in questi luoghi le donne avessero gli stessi diritti e le stesse opportunità degli uomini (accedere al microcredito, per esempio), si arriverebbero a sfamare 150 milioni di persone in più sulla terra.

La recente campagna italiana #SFIDOLAFAME si è posta l’obbiettivo di aiutare le donne nelle comunità rurali di Haiti, Ecuador e Sudan con semi, attrezzature, assistenza e formazione. Insomma con tutto il necessario per assicurare più cibo, più reddito e la possibilità di un’esistenza dignitosa. A chi punta il dito contro le organizzazioni umanitarie che pagano stipendi e formano manager più che volontari, vorrei ricordare che, quando i problemi sono di enorme portata, è anche necessaria una dose di imprenditorialità (per finire il piatto a base di buona volontà). Naturalmente partendo dal presupposto che chi ingaggia una battaglia contro la povertà deve essere inattaccabile, perché anche il minimo spreco diventerebbe intollerabile.

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