Nulla di fatto durante l’atteso Eurogruppo con al centro il piano di riforme della Grecia e lo sblocco dell’ultima tranche di aiuti finanziari da 7,2 miliardi. Dopo il muro contro muro dei giorni scorsi, la riunione dei ministri delle Finanze dell’Eurozona si è conclusa senza un’intesa. Il ministro delle Finanze ellenico Yanis Varoufakis ha presentato ai colleghi una nuova proposta, ma quelle cinque pagine sono state bollate come “molto vaghe” e “non nuove”. Di conseguenza il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, ha convocato un vertice straordinario dei capi di Stato dell’Eurozona per lunedì alle 19: la speranza è che spostando la discussione dal piano finanziario al più alto livello politico si riesca in extremis a evitare il default del Paese. Per il 25 e 26 giugno era già in programma a Bruxelles un Consiglio europeo, ma il polacco ha preferito non aspettare. Peraltro secondo l’agenzia Reuters funzionari della Bce hanno riferito che lunedì le banche elleniche potrebbero non riaprire. Una misura estrema – prevista dal piano di emergenza della Ue rivelato dalla Süddeutsche Zeitung – per evitare che continui l’emorragia di liquidità che negli ultimi tre giorni ha fatto crollare di oltre 2 miliardi di euro i depositi. In parallelo potrebbero essere introdotti controlli sui movimenti dei capitali.

Per Dijsselbloem “ancora possibile accordo per estendere l’attuale programma” – “Nessun accordo”, ha twittato il vicepresidente della Commissione Ue, Valdis Dombrovskis, al termine della riunione. C’è stato “un forte segnale per la Grecia a impegnarsi seriamente nei negoziati”, si legge nel cinguettio, e “l’Eurogruppo è pronto a riunirsi in qualunque momento”. Il presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, ha invece usato parole simili a quelle pronunciate in mattinata da Angela Merkel al Bundestag: “E’ possibile trovare un accordo ed estendere l’attuale programma prima della fine del mese”, ha spiegato, anche se il programma di salvataggio scade a fine mese e “rimane veramente poco tempo“. La conclusione è la solita: “Abbiamo inviato un forte segnale alla Grecia: spetta a loro presentare nuove proposte nell’ambito dell’accordo dell’Eurogruppo del 20 febbraio”. In ogni caso, le istituzioni creditrici “sono preparate a ogni evenienza” se un accordo sul piano di riforme di Atene non sarà trovato, che non è “lo scenario che preferiamo”.

Moscovici: “Tsipras eviti catastrofe accettando compromesso ragionevole” – Più esplicito il commissario Ue agli Affari economici, Pierre Moscovici, che ha fatto appello perché il governo di Alexis Tsipras “torni seriamente al tavolo” con i creditori Fondo monetario internazionale, Commissione Ue e Bce “in maniera costruttiva, accetti un compromesso ragionevole ed eviti una sorte catastrofica“. Christine Lagarde, direttore generale del Fmi, è arrivata a dire che “ci può essere soluzione solo con dialogo e ora l’emergenza è ristabilire il dialogo con gli adulti nella stanza”. Un riferimento, evidentemente, all’atteggiamento riottoso e poco collaborativo tenuto da Varoufakis nel corso dei negoziati. “Mi auguro che nei prossimi giorni la Grecia torni al tavolo con proposte tangibili, fattibili e misurabili”, ha continuato Lagarde, spiegando che i tecnici del Fondo sono pronti 24 ore su 24 a discuterle e che le istituzioni hanno fatto richieste “non esigenti”.

Varoufakis, che nei giorni scorsi aveva escluso di poter avanzare nuove proposte, ha fatto parziale marcia indietro, presentando agli omologhi dell’Eurozona un documento di cinque pagine. Che poi ha provveduto a pubblicare sul proprio sito yanisvaroufakis.eu per “evitare la disinformazione”.

Ma fonti vicine a un ministro dell’Eurogruppo hanno dichiarato che si tratta di idee “vaghe” e “non nuove”. In particolare il pilastro del piano di Varoufakis è identico all’idea avanzata dall’economista fin da gennaio: al Paese dovrebbe essere consentito di rimborsare la Bce, a cui solo tra luglio e agosto deve 6,7 miliardi, con finanziamenti del fondo salva Stati (Esm).

In tre giorni ritirati dalle banche oltre 2 miliardi – Nel frattempo il Paese è sempre più in crisi di liquidità: tra lunedì e mercoledì i i cittadini ellenici, temendo l’introduzione di controlli sul movimento dei capitali, hanno ritirato dai conti correnti oltre 2 miliardi di euro, il doppio rispetto alle nuove risorse concesse dalla Banca centrale europea che nel frattempo ha innalzato da 83 a 84,1 miliardi la liquidità di emergenza (Ela) a disposizione degli istituti di credito greci.

Che cosa può succedere dopo il 30 giugno – Se a fine mese la Grecia non ripagherà gli 1,6 miliardi di euro dovuti al Fondo, farà default. Tecnicamente, secondo le norme dell’Fmi, andrà in ‘arrears’, cioè in arretrati con il pagamento. La Bce potrebbe comunque decidere di non considerarla insolvente e non chiudere il rubinetto della liquidità di emergenza. Se però, dopo il mancato rimborso al Fondo, Atene non riuscisse a rimborsare nemmeno i 3,5 miliardi di titoli in scadenza verso la Bce, Francoforte non potrà che smettere di finanziare le banche, decretandone il fallimento. L’uscita dall’euro a questo punto sarà inevitabile. Il governo sarà costretto a stampare nuova moneta (dracme) per pagare stipendi e pensioni, far funzionare la macchina pubblica e acquistare beni dall’estero.

La prospettiva del prolungamento degli aiuti fino a fine anno – In serata Die Zeit aveva riportato che i creditori erano pronti a un’ultima offerta: il prolungamento dei crediti fino alla fine dell’anno. La versione online del settimanale tedesco, citando fonti vicine alle trattative, ha descritto una proposta simile a quella emersa durante i negoziati dello scorso fine settimana: sarebbero trasferiti nuovamente ad Atene i circa 10 miliardi destinati alla ricapitalizzazione delle banche che a febbraio sono stati spostati dai forzieri della National bank of Greece a quelli del fondo europeo salva Stati (Efsf). Alla fine del prolungamento si dovrebbe arrivare a un terzo pacchetto di aiuti.

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