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Grab Roma, il raccordo anulare delle bici è il contrario delle Grandi opere

Il costo: tra i due e i quattro milioni di euro. I rischi? Gli interessi dei soliti noti e due chilometri piuttosto complicati
Grab Roma, il raccordo anulare delle bici è il contrario delle Grandi opere
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Inutile spesso, costosa sempre, criminogena addirittura per legge (Obiettivo). Cos’è allora – ci si potrebbe chiedere – il contrario di una Grande Opera? Ve lo raccontiamo nelle righe che seguono con un esempio. Il suo nome è Grab, ma i ciclisti della Capitale, giocando col nome del documentario che vinse a Venezia nel 2013, lo chiamano “Sacro Grab”: è il Grande raccordo anulare delle bici, un anello di 44 chilometri tutto ciclabile (e pianeggiante che non guasta) dentro Roma.

Al momento è ancora un bel progetto – realizzato da VeloLove in collaborazione con Legambiente, Salvaciclisti e altre associazioni –, ma Ignazio Marino dovrebbe annunciarne a giorni la realizzazione entro il Giubileo straordinario che si apre l’8 dicembre. Il condizionale, per carità, è sempre d’obbligo, ma la riunione decisiva s’è tenuta lunedì pomeriggio ed è andata bene: il sindaco di Roma ha incontrato il ministro Graziano Delrio – un altro che gira in bicicletta per la città e fan dichiarato del Grab – che gli ha detto che i soldi ci sono. D’altronde non è certo una cifra da preoccupare il Tesoro: tra i due e i quattro milioni di euro, a seconda di alcuni nodi ancora da sciogliere.

La cartina qui accanto dà un’idea di massima del percorso, ma in quei 44,2 km c’è un bel pezzo delle attrattive per cui i turisti arrivano nella Capitale:grab il Colosseo, l’Arco di Costantino, le Terme di Caracalla, il Parco dell’Appia Antica, i musei (la Galleria nazionale d’arte moderna), il Vaticano, il Ghetto, la Roma novecentesca del quartiere Coppedè o dei Parioli. Non manca nemmeno la periferia (Quadraro, Centocelle, Torpignattara), né i percorsi fluviali (Tevere, Aniene e Almone). “Un moderno Grand Tour”, l’hanno definito i promotori in eccesso d’ottimismo. Quattro milioni di euro – un cifra per cui i soliti noti delle Grandi Opere non alzerebbero nemmeno il telefono – per creare un servizio turistico assolutamente unico al mondo (per approfondire, c’è il sito velolove.it/grab).

Ovviamente i problemi lungo il tracciato non mancano. In larga parte, oltre il 70% del percorso, si tratta di piste ciclabili già esistenti, ma scollegate e a volte da sistemare: in sei punti, ad esempio, ci sono incroci o immissioni senza attraversamenti pedonali (un sovrappasso ciclopedonale, però, costa circa 25 mila euro); in altri due punti (Villa Ada e Isola Tiberina) ci sono delle scale che andranno “neutralizzate” e in un altro (Parco Baden Powell) servirà un piccolo sottopasso. È il restante 30% scarso del Grab, però, che richiede interventi più seri, visto che qui si userà la viabilità ordinaria: circa l’8% di questo tracciato potrebbe correre su marciapiedi destinabili a uso misto ciclo-pedonale; un altro 15% viaggerebbe su strade secondarie da trasformare in “Zone 30” (cioè tratti urbani in cui il limite di velocità è 30 km/h anziché 50). Il problema vero è, insomma, il restante 5% – circa 2 chilometri su 44,2 totali – di strade trafficate: qui vanno prese decisioni politiche forse non indolori (pedonalizzazioni, sensi unici, lavori di trasformazione, etc).

Il costo finale, come detto, oscilla tra i due e i quattro milioni di euro, a seconda di come Ignazio Marino vorrà realizzare il progetto: i fondi, a stare a quanto riferito dal sindaco dopo il vertice con Delrio, saranno quelli del Giubileo. Ora il problema principale è evitare che un progetto costruito gratis da associazioni e cittadini interessati venga stravolto o usato per fini impropri dai poteri cittadini, che poi sono soprattutto il mattone e la politica. “Questo può sembrare un progetto locale, ma non lo è: è un progetto per il Paese”, dice Alberto Fiorillo, responsabile Città di Legambiente e tra i promotori del Grab: “Il raccordo per le bici indica una via di sviluppo sostenibile: un’infrastruttura leggera, low cost e ad alta redditività economica e culturale”. Ecco, insomma, com’è il contrario di una Grande Opera.

da Il Fatto Quotidiano del 13 maggio 2015

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