Per la Polizia metropolitana britannica parlare di sessismo quotidiano non è un argomento futile né da contrapporre a casi più gravi di discriminazione e violenza sulle donne. E, infatti, qualche giorno fa la Met Police ha lanciato una campagna di sensibilizzazione contro le molestie sui mezzi di trasporto. “Riportare per fermarlo!”, invita un video che non può lasciare indifferenti.


Tralasciando i casi più estremi, che sono ovviamente crimini definiti e punibili per legge, il sessismo quotidiano è fatto di attacchi subdoli mascherati codardamente da satira e libertà d’espressione o di commenti paternalistici che arrivano a sminuire il ruolo e le capacità anche di chi raggiunge l’eccellenza nel proprio campo professionale. Altre volte il sessismo si nasconde dietro a religione e valori. Basti pensare agli attacchi passivo-aggressivi dei gruppi reazionari che hanno inventato l’etichetta polemica della “teoria gender” per creare consenso intorno a posizioni sessiste e omofobe.
La cosiddetta teoria gender esiste solo a uso e consumo di chi ha deciso che va combattuta – e cioè i gruppi a volte estremisti e spesso di riferimento cattolico che creano un’emergenza che non c’è per perpetuare il concetto di subordinazione tra sessi e di ruoli stereotipati, predefiniti e quindi immutabili. I racconti delle italiane su Everyday Sexism sono disarmanti proprio perché spesso sono camuffati da questa interpretazione distorta di rispettabilità e tradizione.
Molte delle denunce non si riferiscono a laidi maniaci sconosciuti, ma a padri “molto protettivi” o a compagni di scuola “solamente gioviali”. Sono abusi quotidiani e ancora più mortificanti perché fatti da persone vicine, a volte care.
E spesso arrivano ad avere un impatto enorme sulla vita delle donne che “dovrebbero solo imparare a stare allo scherzo”.
Il sessismo quotidiano in Italia inizia a casa, dove ci sono nonni che insegnano alle bambine a servire i maschi di casa, e genitori che deridono le ambizioni delle figlie. Inizia a scuola, dove dei maschi si loda la creatività e delle bambine si loda obbedienza. Inizia alle feste tra amici, dove i commenti spinti sono “solo un complimento”.
A leggere le storie riportate, sembrerebbe che a 11 anni una bambina debba già imparare a “stare allo scherzo”, a “non provocare”, a “non seccare”.
Norme comportamentali repressive e piuttosto comuni quindi, nutrite da pregiudizi vuoti che purtroppo tendono a radicarsi nelle menti delle bambine e ne condizioneranno poi le scelte, le aspirazioni e le insicurezze.
Ecco magari invece alle bambine si potrebbe insegnare – a scuola, a casa, mentre giocano – che gli stereotipi sessisti non definiscono quello che sono né quello che diventeranno. E soprattutto che non è mai presto per imparare che se mai qualcuno volesse imporre loro ruoli che non interessano, battute squallide e attenzioni non gradite, la prima linea di difesa è “Riportare per fermarlo!”.
E se questa è quella che alcuni definiscono “educazione gender“, allora mi auguro che questa “emergenza gender” tanto paventata inizi davvero e presto.