Il mondo FQ

Derivati, Euro e debito pubblico: chi ha guadagnato veramente con la moneta unica?

Icona dei commenti Commenti

Non sapremo mai cosa c’è veramente dietro la richiesta formulata all’inizio del 2012 da parte di Morgan Stanley al governo Monti e relativa al pagamento di 2,5 miliardi di euro sull’unghia. E’ anche vero che ce lo possiamo immaginare, per farlo facciamo un passo indietro.

La versione ufficiale dell’establishment italiano è che la nascita della moneta unica europea è stata vantaggiosa perché ha spalancato alla periferia le porte del mercato dei capitali a tassi molto più bassi che in passato dato che assieme alla sovranità monetaria queste nazioni hanno perso la possibilità di svalutare. Ed è vero che le banche del Nord si sono precipitate a offrire loro ingenti linee di credito a tassi molto, ma molto convenienti. Tra il 1997 e il 2000, per esempio, gli investimenti diretti in Irlanda sono saliti da meno di 2 a 24 miliardi di dollari, due anni dopo erano a quota 30 miliardi. Stesso discorso si può fare per l’indebitamento dello Stato. Dal 1997 al 2007 la percentuale del debito pubblico spagnolo e italiano nelle mani delle banche straniere è quasi raddoppiata, dal 25 è passata al 52 per cento.

Ma chi ci ha veramente guadagnato?

Nessuno può negare che per le grandi banche europee l’avvento dell’euro sia stato una vera cuccagna: ha azzerato il rischio dei cambi e ha aperto nuovi mercati di sbocco vergini, quelli della periferia, in un momento in cui i tassi d’interesse mondiali avevano ripreso a scendere a causa della mini recessione causata dall’11 settembre. Ed ecco spiegata la comparsa dietro casa nostra delle succursali di banche straniere, che hanno fatto concorrenza a quelle locali, molte delle quali sono state costrette a fondersi con i giganti nazionali.

Nel giro di poco tempo il credito è diventato un business multimiliardario, un bene venduto, ristrutturato grazie ai derivati, e smerciato sul mercato secondario con guadagni assicurati, dal momento che almeno dal 2001 al 2003 i tassi d’interesse mondiali erano in picchiata. La banca stipulava un mutuo al 5 o 6 per cento, che diciamo le costava il 2 per cento, e dopo pochi mesi lo rifinanziava a un tasso dell’1,5 per cento e intascava la differenza. Lo stesso ragionamento valeva per tutti gli strumenti del credito, moltiplichiamo tutto ciò per la popolazione e il debito di Eurolandia e avremo cifre da capogiro.

Naturalmente, mutui facili a tassi accessibili e domanda praticamente illimitata per le obbligazioni di Stato e societarie hanno incoraggiato la gente a indebitarsi, per esempio ad acquistare immobili che non poteva permettersi. Di conseguenza la domanda di abitazioni si è gonfiata, facendone lievitare i prezzi. Discorso analogo vale per tutti i prodotti, incluso il debito pubblico. Quello italiano, dopo essere sceso nella seconda metà degli anni Novanta per rientrare nei parametri imposti dall’ingresso nell’euro, dal 2003 ha ricominciato a salire a ritmi sostenuti. Il motivo? Cattiva gestione e derivati.

jp morgan

Gran parte della flessione del debito registratasi nella seconda metà degli anni Novanta è dovuta all’azione delle grandi banche d’affari, come J.P. Morgan, che grazie alla finanza strutturata, i derivati, hanno sottratto dai conti dello Stato alcuni indicatori scomodi. Il meccanismo è semplice: lo Stato scambia con la banca una parte del debito contro moneta per un determinato periodo di tempo quando entrambi si impegnano a restituire quanto avuto. In questo modo il debito scompare dai bilanci ma rimane in vita. Alla scadenza il contratto si rinnova e quindi si protrae ancora nel tempo lo scambio.

Il costo di queste operazioni è naturalmente molto alto e viene pagato quando il contratto entra in essere non alla scadenza. Dal 2003 in poi il costo del rifinanziamento inizia a pesare sul totale del debito. Si tratta insomma di una sorta di cambiale pubblica che i governi hanno sottoscritto a nome dei cittadini e che rinnovano a costi crescenti. Ognuna di queste cambiali ha una sua struttura e clausole per assicurare che il creditore non perda i soldi. Alcune sono capestro, come quella imposta da J.P. Morgan all’Italia ed utilizzata per recuperare 2,5 miliardi di euro in un momento in cui si temeva la bancarotta.

Sarebbe interessante vedere a quale distretto legislativo il contratto di J.P. Morgan si rifà, sicuramente al Regno Unito dove la legge è particolarmente favorevole alla finanza. Ma la riflessione che bisogna fare è la seguente: lo Stato è sovrano ed in momenti di crisi profonda, come quello a cavallo tra il 2011 ed il 2012 può e deve rescindere da clausole di questo tipo che dipendono da giurisdizioni straniere. Il governo Monti non lo fece e l’Italia pagò la penale.

Gentile lettore, la pubblicazione dei commenti è sospesa dalle 20 alle 9, i commenti per ogni articolo saranno chiusi dopo 72 ore, il massimo di caratteri consentito per ogni messaggio è di 1.500 e ogni utente può postare al massimo 150 commenti alla settimana. Abbiamo deciso di impostare questi limiti per migliorare la qualità del dibattito. È necessario attenersi Termini e Condizioni di utilizzo del sito (in particolare punti 3 e 5): evitare gli insulti, le accuse senza fondamento e mantenersi in tema con la discussione. I commenti saranno pubblicati dopo essere stati letti e approvati, ad eccezione di quelli pubblicati dagli utenti in white list (vedere il punto 3 della nostra policy). Infine non è consentito accedere al servizio tramite account multipli. Vi preghiamo di segnalare eventuali problemi tecnici al nostro supporto tecnico La Redazione