Google ha annunciato che il primo prototipo funzionante del suo veicolo “self driving” è pronto. Il progetto era stato annunciato la prima volta a maggio: fino a quel momento, si sapeva che il colosso californiano stava lavorando sulla guida autonoma – sfruttando l’enorme mole di dati ottenuti mappando e fotografando le strade di tutto il mondo – ma s’immaginava che avrebbe affidato il pacchetto di tecnologie a un costruttore automobilistico. Invece “big G” ha stupito tutti con un piccolo mezzo rotondeggiante e dall’aria simpatica (a sinistra nella foto), progettato internamente. “Il veicolo che abbiamo svelato a maggio era un primo abbozzo, non aveva nemmeno i fanali“, si legge sul blog ufficiale. “Da allora abbiamo lavorato su diversi prototipi-di-prototipi, ognuno disegnato per testare diversi sistemi di guida autonoma (…). Ora li abbiamo messi tutti insieme in questo nostro primo veicolo a guida autonoma pienamente funzionante” (a destra nella foto). Equipaggiata ancora con comandi manuali per questioni di sicurezza, nel 2015 la Google Car potrà effettuare i primi test su strada in California.

Google non è l’unica a studiare la guida autonoma, ma ha un approccio più radicale: una piccola auto elettrica pensata per la città e l’uso condiviso

La stampa anglosassone sta dando un enorme risalto agli esperimenti di Google nel settore della guida autonoma. “La Google Car è certamente molto carina e non sembra che possa fare male a nessuno. Ma in realtà è uno sparo d’avvertimento per l’intera industria dell’auto”, scrive Business Insider, per esempio. In realtà, Google non è l’unica a lavorare sulla guida autonoma: oltre a diverse università, fra cui quella di Parma, lo stanno facendo anche Audi, BMW, Mercedes, Renault, Nissan, Toyota, Volvo e General Motors. I costruttori automobilistici, però, hanno un approccio più graduale: prevedono l’introduzione  progressiva di sistemi che automatizzano una parte della guida – il parcheggio, il viaggio in autostrada, i movimenti in coda – per arrivare nel 2020 o 2025, a seconda delle previsioni, a un veicolo che sia in grado di guidare completamente da solo.

Big G cerca un partner automobilistico per produrre in serie la sua vettura nel giro di cinque anni

L’idea di Google, invece, è più radicale: il suo piccolo veicolo elettrico è diverso dalle auto in commercio perché non ha alcun contenuto emozionale. È pensato come un semplice mezza di trasporto urbano condiviso. Una sorta di autobus personale, un taxi senza pilota, che fra l’altro restituirebbero autonomia alle persone disabili e anziane. Anche per la Google Car, il debutto sul mercato è previsto intorno al 2020: il direttore del progetto, Chris Urmson, ha dichiarato in un’intervista al Wall Street Journal che vuole mettere in vendita la vettura entro cinque anni. Per la produzione, Google sta cercando un partner automobilistico che condivida la fase d’ingegnerizzazione e gli impianti produttivi.

Ci sono ancora ostacoli tecnici e burocratici. E poi l’auto a guida autonoma deve trovare i clienti

Ormai sembra tutto pronto per l’avvento della guida autonoma, insomma. Ma oltre agli ultimi ostacoli tecnici, le “self driving car” devono ancora superare i problemi legati alle normative sulla sicurezza e alle assicurazioni. Negli Usa, 14 Stati stanno pensando di aggiornare il codice della strada per adeguarsi all’evoluzione tecnologica. E infine manca la clientela, visto che per ora gli automobilisti sembrano restii a cedere il volante all’elettronica. Oggi non esiste un pubblico desideroso di comprare questo piccolo “iPod con le ruote”, dice Gene Marks su Forbes, che definisce piuttosto la Google Car come “un investimento che guarda molto avanti nel futuro da parte di un’azienda che ha un sacco di soldi da investire”. Google spende 10 miliardi di dollari l’anno in ricerca e sviluppo: “Non stanno cercando il profitto nei prossimi anni”, prosegue Forbes. “I sognatori dietro a Google, come quelli di Tesla o Virgin Galactic, sono persone che guardano decenni avanti. Lo possono fare perché hanno entrate e capitali provenienti da altre fonti che gli permettono di investire nei sogni“.

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