Un patteggiamento olimpico quello ottenuto da Alex Schwazer e dal suo legale Gerhard Brandstaetter. Ieri la Procura di Bolzano ha accolto la loro richiesta: 8 mesi di condanna per chiudere la vicenda in sede penale, con il riconoscimento della colpevolezza del marciatore altoatesino non solo per l’Epo del 2012, ma anche per pratiche dopanti nei due anni precedenti, quelli al centro dell’inchiesta del pm Giancarlo Bramante. E ora Schwazer è più vicino alle Olimpiadi di Rio 2016: “Io sono tornato ad allenarmi e quando sarà il momento sarò pronto a rientrare”, aveva detto il 20 novembre dopo l’interrogatorio al Coni, e così sarà.

La strategia difensiva dell’atleta aveva prima pensato a una richiesta per l’affidamento in prova, poi provato a chiedere il trasferimento del processo da Bolzano a Roma, ma in entrambi i casi si sarebbe andati troppo per le lunghe. Ora, con il patteggiamento in sede giudiziaria, e la squalifica sportiva di 3 anni e 6 mesi del Coni che termina il 30 gennaio 2016, Rio è più vicina.

In realtà non è detto che Schwazer ce la faccia: è ancora sotto inchiesta sia per la Wada sia per il Tribunale Nazionale Antidoping del Coni, che proprio in questi giorni ha ricevuto dalla Procura di Padova le 550 pagine della prima tranche dell’inchiesta sul “sistema criminale (…) di cui è ispiratore Michele Ferrari”, e che dal doping si allarga alla finanza, ai paradisi fiscali, all’evasione e al riciclaggio. A proposito di Ferrari, sempre ieri è emerso che nelle carte dell’inchiesta c’è un sms inviato da Marie Luise Brunner, madre di Alex, al dottore il 31 luglio 2010, quando il marciatore si è appena ritirato dalla 50Km agli Europei: “Sono molto preoccupata per Alex. Saluti, mamma Schwazer”, recita l’sms, che lascia prefigurare come i rapporti tra la famiglia dell’atleta e il medico ferrarese, inibito a vita dal Coni oltre dieci anni fa e nuovamente al centro di una clamorosa inchiesta oggi, fossero molto stretti.

Patteggiato e parcheggiato Schwazer con vista su Rio 2016, la Procura di Bolzano prosegue intanto la sua inchiesta sul sistema antidoping italiano “ridotto a una totale messinscena”, da cui si evince che nessuno dei 292 atleti azzurri che parteciparono alle Olimpiadi 2012 a Londra fu sottoposto al rigido protocollo ordinato della Wada: ovvero ai controlli a sorpresa.

In attesa che qualcuno al Coni inizi a tremare, alla Iaaf (Federazione mondiale di atletica leggera) cominciano a dimettersi uno dopo l’altro sulla scia dell’inchiesta della tv tedesca Adr, che partendo dalla Russia si è allargata al resto del mondo: in ballo inesistenti controlli antidoping, copertura delle positività e corruzione. Si sono dimessi il francese Gabriel Dollé, capo del dipartimento antidoping Iaaf, e Valentin Balakhnichev, capo federatletica russa e tesoriere Iaaf per i 450 mila euro pagati dalla maratoneta russa Liliya Shobukhova (di cui 350 mila rimborsati dalla sua federazione) per coprire la sua positività e partecipare a Londra 2012. Ma soprattutto è assai inguaiato il numero uno dell’atletica mondiale Lamine Diack.

L’altro ieri si è dimesso suo figlio Papa Massata Diack, consulente marketing Iaaf, per avere ricevuto un pagamento da Doha di 5 milioni volto con tutta probabilità a favorire l’assegnazione dei Mondiali di Atletica 2017 al Qatar, come poi è stato. E per capire l’attenzione al capitolo doping del potentissimo presidente Lamine Diack, ieri Salvatore Morale, campione europeo 400 ostacoli nel 1962, ha raccontato come nel 2001 da dg della Iaaf inviò al presidente Diack una lista di 258 atleti che non si erano presentati ai controlli: la risposta fu il suo licenziamento.

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