Alla fine, palla a due. Dopo un’estate dominata dalle decisioni del giocatore più forte al mondo (attuale o di tutti i tempi, sta a voi decidere) ed una pre-stagione decisamente sotto tono, finalmente la NBA fa sul serio. Parte nella notte tra martedì e mercoledì. Ed è ovvio che gli occhi di tutti siano puntati su di lui, Lebron James che, forse per riparare il torto fatto alla sua gente quattro anni prima o magari per sentirsi più normale a Cleveland piuttosto che nel luna park di Miami, è tornato a vestire la maglia dei Cavs, anzi – meglio – dei Cavaliers, come venivano chiamati quando erano la squadra più sfigata della lega. Questo succedeva prima del 2004 e poi dopo il 2010: per capirci, quando James non c’era ancora e quando poi se ne era andato.

Il prescelto è tornato a casa: con lui e Love, i Cavs vedono le stelle
Adesso è tornato e, senza promettere troppo, come aveva fatto ai tempi del passaggio agli Heat, è comunque più che mai deciso a portare un titolo a Cleveland, la città una volta considerata la più brutta d’America e che, non solo nella pallacanestro ma nello sport pro in generale, non ha praticamente mai vinto nulla. Dal canto suo, il club gli ha costruito attorno una squadra decisamente forte, accontentando tutte le sue richieste. Prima fra queste, quella di portarsi a casa quel Kevin Love che con lui è destinato a formare una coppia di quelle rare anche più delle eclissi totali. Questo per dire che, almeno nella Eastern Conference, i Cavs sono nettamente i favoriti per arrivare in finale: poi lì sarà probabilmente tutta un’altra cosa, visto che dall’altra parte del continente le cose vanno decisamente meglio. Questo perché, a Est, negli ultimi anni è cambiato davvero tutto e non solo nell’estate da poco trascorsa.

Da un paio di stagioni, i mitici Celtics non esistono praticamente più tra cessioni, infortuni, decisioni alla rovescia e l’idea (giusta) di ricostruire per il futuro una squadra degna del nome che porta. Con loro anche New York si è persa nel nulla, gestita in maniera indecorosa da una serie di presidenti e manager che hanno buttato via centinaia di milioni di dollari senza arrivare mai a nulla di concreto. Quest’anno i Knicks sembrano aver capito che se hai un manico giusto sei già oltre la metà dell’opera. Ecco che quindi hanno consegnato il joystick del Madison Square Garden al vecchio Phil Jackson, l’allenatore dei sei titoli vinti a Chicago e dei tre a Los Angeles che, però, per la prima volta nella sua carriera non siederà in panchina ma dietro la scrivania. In questo ruolo inedito, tra le decisioni che dovrà presto prendere c’è anche il futuro di Andrea Bargnani, uno dei quattro italiani impegnati in NBA. Un talento che, tra infortuni e polemiche di ogni tipo, i tifosi dei Knicks non è che amino più di tanto.

A Est poco altro oltre a Cleveland. Aspettando New York (e Andrea Bargnani)
Se per New York ci vorrà tempo, per i cugini di Brooklyn dei Nets l’alba sembra un po’ più serena. La squadra che gioca a poche fermate di metro da Manhattan ha messo insieme un bel gruppo, dove le stelle vere sono adesso due slavi come Teletovic e Bogdanovic, destinati fare davvero bene. Difficile pensare che i Nets possano battere Cleveland, ma ci proveranno. Stesso discorso per Miami, che dopo l’uscita di Lebron non si è persa d’animo, costruendo una squadra più che decente, ed Indiana che la sfortuna ha voluto privare per tutto il campionato della sua stella, Paul George, fermo per un grave infortunio nonché colui che nelle ultime stagioni aveva rivaleggiato quasi alla pari con James. Ma forse, i veri avversari di Cleveland sono proprio l’ex squadra di Phil Jackson: quei Bulls che, tre stagioni fa, erano arrivati ad annusare il profumo del successo grazie soprattutto alla loro superstar, quel Derrick Rose che però, sul più bello, si distrusse un ginocchio, chiudendo così ogni possibilità per suoi di giocarsela per la vetta.

Dopo un altro infortunio, che gli ha fatto saltare anche tutto lo scorso campionato, adesso Rose sembra pronto per riprendersi quello che i tanto decantati dei del basket gli hanno tolto. Se escludiamo i canadesi di Toronto, l’anno passato vera sorpresa della conference, e Washington, che potrebbe essere la sorpresa dell’anno, per il resto la parte orientale del pianeta NBA offre solo interessanti individualità sparse in club come Milwaukee, Orlando e Philadelhia, che lotteranno per un posto nei playoffs, risultato da considerare come un punto d’arrivo. Tra queste squadre c’e’ anche Detroit, dove (non) gioca il nostro Gigi Datome. Atleta dal talento immenso, ancora in parte da comprendere, Datome ha passato un anno orribile ai Pistons, finendo dimenticato in panchina, nonostante la sua squadra fosse finita quasi subito fuori dal panorama dei playoffs. Per lui, se continuasse così, c’è da augurarsi uno scambio sul mercato magari pescando un jolly come quello preso l’anno passato da Marco Belinelli.

A Ovest molte pretendenti al trono di San Antonio. Oklahoma minaccia vendetta
E con il Beli cambiamo conference, trasferendoci ad Ovest dove i suoi San Antonio Spurs sono i campioni in carica, dopo un’annata che ha visto questa vera e propria multinazionale del basket giocare e vincere grazie ad un sistema davvero perfetto. Merito quasi esclusivamente di Greg Popovich (che per quest’anno ha scelto al suo fianco Ettore Messina), coach del club e fautore di quello che giocatori dall’IQ cestistico sopraffino mettono in pratica sul parquet. In questo meccanismo, Belinelli si è calato nel migliore dei modi, incarnando il personaggio ideale per le necessità di Popovich. Per San Antonio, vista anche l’età media di alcuni giocatori chiave, sarà comunque durissima ripetersi, anche perché, a differenza dell’altra sponda, l’Ovest propone una schiera di club in piena ascesa, tutti in grado di dare parecchio fastidio ai campioni uscenti. Ovviamente, i primi che vengono in mente sono gli Oklahoma City Thunder, squadra dal potenziale pazzesco, dati per favoriti anche l’anno scorso, ma che però da due stagioni mancano il bersaglio grosso della finale.

Los Angeles cambia verso: ciao Lakers, è il momento dei Clippers
Per loro, causa infortunio della loro stella Kevin Durant (fuori per due mesi), ci potrebbe essere un avvio un po’ in sordina, ma poi, con l’arrivo del 2015, torneranno ad essere tra i favoriti. Poco dietro Oklahoma City, un gruppo di squadre tutte molto giovani, tutte con possibilità di fare il botto. Tra queste i Clippers. Diventati la prima squadra di Los Angeles, hanno superato alla grande la bufera ‘razzista’ che aveva coinvolto il loro oramai ex proprietario e che adesso, rinforzatisi ulteriormente, possono davvero pensare ad arrivare fino in fondo. Lo spettacolarissimo Blake Griffin e Chris Paul, forse il miglior play della lega, hanno più volte detto di sentirsi in grado di vincere un titolo che avrebbe davvero del clamoroso, considerata anche la situazione drammatica in cui versano i Lakers, quelli che una volta erano i dominatori di Los Angeles ma soprattutto della NBA. Da quelle parti, infatti – ritorno dell’oramai trentottenne Kobe Bryant escluso – c’è poco da stare allegri e, come per gli antichi e storici avversari di Boston, ci vorrà ancora molto tempo prima di rivederli nuovamente coinvolti in una partita che conta davvero. Oltre ai Clippers, occhio poi soprattutto a Portland, la squadra con il maggior potenziale giovane di tutta la lega.

Rockets spendono: ora vogliono raccogliere i frutti. A Denver la speranza parla italiano
Giocatori come Lillard e Alridge, già fortissimi, sono per assurdo ancora in fase di miglioramento, il che spaventa un po’ tutti. Un discorso molto simile a quello dei Blazers lo si può fare per Golden State, con in forza quel Stephen Curry, a detta di molti, il talento offensivo più puro della lega e, scendendo di un gradino, per Phoenix, che nello sloveno Goran Deagic, ha un leader che sembra uscito da un filmato promozionale sull’estetica del basket. Difficile invece dire come se la caverà Denver, la squadra del nostro quarto giocatore, quel Danilo Gallinari, che incarna appieno la sfortuna di questo club, disintegrato nelle ultime due stagioni da ogni tipo di infortuni. Danilo torna dopo quasi due anni di stop con i testa ancora l’idea che, prima di stracciarsi un ginocchio, stava davvero per diventare una superstar della lega, in odore di All Star Game. Tornare a quei livelli è possibile, ma ci vorrà molta pazienza da aggiungere a quella che Danilo ha avuto in questi mesi, sopportando anche una seconda operazione per un parere medico sbagliato sul suo recupero.

In questa veloce carrellata su quello che potrà succedere da oggi in avanti, ad Ovest abbiamo lasciato per ultimi i Rockets, la squadra che in questi ultimi due anni ha speso più di tutti, per cercare di tornare a vincere dopo vent’anni. In estate hanno fatto ogni cosa possibile, per tentare di convincere a venire da loro, prima gli stessi Lebron e Kevin Love, poi Carmelo Anthony (rimasto a New York), senza evidentemente riuscire nell’intento. Nonostante questo, con Dwight Howard e James Harden, hanno una coppia da titolo, circondata da ottimi gregari. Qualcuno sostiene che potrebbe bastare, molti la pensano diversamente. Per questi, Spurs e Thunder prima – ed eventualmente i Cavs più avanti – giocano tutte su un altro tavolo, quello dove se loro non vogliono non ti siedi mai.

Articolo Precedente

Volley, il campionato compie 70 anni: si punta su giovani ed entusiasmo Mondiali

next
Articolo Successivo

Nba, un business record grazie ai diritti tv: 24 miliardi in 9 anni dal 2016

next