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Burger King: quando l’hamburger diventa ‘black’

Burger King: quando l’hamburger diventa ‘black’
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Cosa direste se, arrivati ad un fast food, vi servissero un hamburger di colore nero? State tranquilli, almeno se vivete in Europa e non avete programmato, a breve, un viaggio in Giappone.  Stiamo parlando di Kuro Burger“, il nuovo hamburger di colore nero lanciato – in edizione limitata – dalla catena Burger King nel paese del Sol Levante. La notizia è di quelle che suscitano curiosità, specie tra i gourmet che, se già prima erano pronti ad inorridire di fronte alla scelta del fast food, ora sono addirittura sul piede di guerra per innalzare barricate verso un’alimentazione che, oltre al gusto, tenta anche la vista.

Un panino molto rock, in pieno stile giapponese… ma il colore nero? Semplice, o almeno così sembra: il pane è preparato con cenere di bambù, così come il formaggio, mentre la carne è cotta con grani di pepe nero e condita con una salsa al nero di seppia, il tutto avvolto in carta nera. Niente coloranti, almeno su questo si può stare tranquilli. Forse.

Ovviamente, in abbinamento c’è una Coca Zero (dal packaging nero…).

La realtà è che questo nuovo panino, nelle versioni Kuro Pearl e Kuro Diamond (kuro in giapponese vuol dire nero) è l’ultima trovata di marketing nell’eterna guerra tra i colossi del fast food come Burger King e Mc Donald’s: stiamo parlando di un mercato – quello nipponico – che conta oltre 120 milioni di potenziali clienti molto attenti, con una spiccata predilezione per il cibo e una passione sfrenata per tutto quello che va di moda, specie nelle grandi metropoli come Tokyo che conta oltre 13,5 milioni di abitanti.

Ad essere onesti fino in fondo, al palato il gusto non è affatto male. Anzi. Il burger è morbido, cremoso, saporito e, udite udite, anche molto invitante! Il tocco della salsa al nero di seppia in abbinamento al manzo, certamente, potrebbe farvi saltar giù dalla sedia ma qui, in Giappone, la cucina ha già sperimentato e adottato da tempo queste soluzioni di sapori, con risultati straordinari.

La domanda finale è: perché in Europa no?

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