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Caro Console Usa, perché negare il visto a Bilel?

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Caro console (americano) ti scrivo,

ho accompagnato il mio amico Bilel Ben Salem, cittadino tunisino, che vive da oltre 10 anni in Italia con permesso di soggiorno illimitato, laureato in matematica, responsabile vendite di una società del settore alimentare, per una domanda per visto turistico al Consolato Usa di Milano. Il prossimo gennaio Valeria Raimondi, agente letteraria, (della Raimondi & Campbell Literary Agency Ltd. con sede a Milano e a Londra) per i suoi 50 anni vuole regalarsi un viaggio a New York e ha invitato gli amici più cari, tra cui Bilel Ben che non è mai stato in America e sogna il viaggio dopo una vita di lavoro.

Venerdì mattina ha avuto il colloquio a porte chiuse (a me e Valeria, non rimaneva altro che andare a bere un caffè da Bianco Latte). Bilel Ben ci ha poi raccontato che si è svolto in questo modo: una officer americana gli ha chiesto come era entrato in Italia, da immigrato illegale o da regolare (e stupita che fosse entrato “regolare” gli ha chiesto come fosse stato possibile). Alla domanda perché volesse andare negli Stati Uniti lui ha risposto che sarebbe andato a festeggiare con altri amici il compleanno di un’amica che lo aveva invitato. A quel punto l’officer (forse mossa da solidarietà femminile?) gli ha chiesto che cosa pensasse sua moglie del fatto che lui andasse a New York con un’amica. Lui ha risposto: nulla perché è un’amica di famiglia. Un istante dopo si è visto consegnare un prestampato di rifiuto inappellabile alla richiesta di visto.

Come scritto sul prestampato, Bilel non avrebbe dimostrato di avere buoni motivi per rientrare in Italia. Come se due bambini di 4 e 1 anno, una moglie, un’attività commerciale ben avviata, anche se con enormi sforzi, non fossero valide ragioni per rientrare nel paese dove vivi.

Il razzismo, gentile Console, come lei sa, è una brutta bestia. Possibile che si esprima con una valutazione superficiale e sbrigativa di un questionario che Bel ha impiegato ore a compilare? Possibile che si esprima con un NO sbattuto in faccia senza una parola e soprattutto senza un valido motivo.

Caro Console, Valeria è laureata in Letteratura Americana e considera gli States la sua patria culturale. Io, più modestamente, ho un diploma di American Language Program alla Columbia University e ho cominciato la mia attività di giornalista proprio con uno stage al Corriere della Sera, sede di New York. Entrambe siamo very fond dell’America ma abbiamo provato un po’ d’imbarazzo a spiegare a un ragazzo di 35 anni perché gli fosse negato il visto turistico per una settimana.

Ho provato disagio perché d’un tratto ho capito che la Storia, con la S maiuscola, che viviamo in modo drammatico in questo periodo, si scrive e si legge anche negli atteggiamenti quotidiani, nei piccolissimi gesti e accadimenti di cui ognuno di noi è protagonista. Ora Le domando, signor Console, è così che vogliamo lasciare andare le cose? E’ così che consegneremo ai nostri figli e ai figli del signor Salem un mondo più democratico?

P.S. Salem ha anche investito 120 euro per la domanda + altri 30, versati in anticipo, per eventuale ritiro del passaporto. Allora mi domando perché pagare un servizio non usufruibile?

Gentile Console la ringrazio del Suo tempo.

@januariapiromal

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