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Sbarchi: Lampedusa, una notte al molo Favaloro

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Ieri notte al molo Favaloro sembrava di essere al centro della galassia. Le coperte termiche che i migranti indossavano riflettevano la luce verso il mare e le stelle mentre l’odore della miseria ti riportava sul duro degli scogli, della terra ferma. Più volte ieri mi sono sentito il nodo in gola vedendomi sotto gli occhi gli effetti che produce la fame di profitto. “Sarebbe bello aiutarli a casa loro” ci diciamo insieme alla comunità accogliente di Lampedusa mentre distribuiamo acqua e collaboriamo a una prima assistenza.  Sarebbe bello evitargli queste sofferenze, questi rischi, questa migrazione che costringe migliaia di uomini e donne a graffiarsi la pelle e l’anima per mesi interi per fuggire da cose che nemmeno possiamo immaginare. Sarebbe bello e giusto ma per ora è così e la scelta non è se aiutare qui o in Africa ma semplicemente se aiutare o restare a guardare con le mani in mano. Sarebbe bello – mi dico – smettere di depredare casa loro, farla finita con la cooperazione farlocca, con le multinazionali che stanno succhiando il midollo dell’Africa.

L’Europa ed i suoi Stati sono immobili dietro le nostre spalle. Incapaci di affrontare le conseguenze epocali che le loro azioni producono.

Ognuno di questi volti, di questi occhi neri come il profondo della notte che mi guardano felici per essere arrivati vivi, ha una storia da raccontare, ha ancora una vita davanti. 

Ieri i migranti approdati a Lampedusa erano quasi tutti eritrei, giovani e poveri come non ne avevo mai visti, alcuni di loro non erano semplicemente disidratati dal viaggio ma denutriti, segnati nel corpo dal soggiorno forzato in Libia, dove spesso sono chiusi e raggruppati in casolari fatiscenti. Un soggiorno, il loro, che segue un viaggio nel deserto. Questi ragazzi, che vedo scalzi e con vestiti sporchi davanti a me, in gran parte fuggono da una leva obbligatoria a tempo indeterminato che non lascia alternativa alla strada della migrazione.  Loro e tutti gli altri incontrati nelle scorse settimane fuggono però anche dalla miseria.

“Benvenuti in Italia”, gli dico alzando il pollice. E buona fortuna. Buona fortuna a loro perché quello che ho visto dice che in questo paese  non c’è un sistema in grado di accoglierli adeguatamente. Buona fortuna a noi, invece, perchè avremo bisogno di tutte le nostre forze per continuare a restare umani.  

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