Con il montare dell’inchiesta sugli appalti per l’Expo, la memoria torna immancabilmente agli anni di Mani Pulite. Ma davvero tutto è rimasto come allora? Analisi di un fenomeno in continua evoluzione e delle contromisure da adottare per spezzare il circolo vizioso.
di  e  (Fonte: lavoce.info

L’evoluzione del meccanismo

La prima reazione è stata quella dell’eterno ritorno dell’uguale: stessi nomi (Gianstefano Frigerio, Primo Greganti, Enrico Maltauro) già conosciuti vent’anni fa nelle inchieste di Mani Pulite. Stesse mazzette e stessa manipolazione degli appalti pubblici. Il quadro sconfortante di un paese che non riesce a uscire dalla palude della corruzione.
Superato lo sconcerto, tuttavia, è bene guardare ai fatti recenti legati agli appalti per le opere dell’Expo e alle forniture alla sanità lombarda con più attenzione, perché la corruzione ha anche in questa occasione saputo indossare vesti nuove, mostrando una grande capacità di adattamento.

Le inchieste di Mani Pulite avevano messo a nudo un meccanismo di corruzione dove il finanziamento occulto ai partiti in cambio della loro “protezione politica” rappresentava l’obiettivo principale, in funzione del quale veniva plasmato tutto il processo. Qualunque decisione pubblica, dalle grandi opere per la realizzazione della linea 3 della metropolitana alle forniture al Pio Albergo Trivulzio, era direttamente intermediata dai rappresentanti politici, che incassavano una tangente per addomesticare le scelte a favore delle imprese conniventi. Un meccanismo basato sull’incremento esponenziale del costo degli appalti, in Italia sistematicamente superiore (in alcuni casi oltre il doppio) a quello riscontrabile negli altri paesi europei. Risorse che in gran parte rimanevano alle imprese del cartello, le quali trasferivano ai partiti una quota del beneficio conseguito. Naturalmente, c’era anche qualche occasionale ricaduta personale a favore di singoli amministratori e politici coinvolti, dato che nei bilanci “in nero” della corruzione era facile fare la cresta. Chi ha pagato e sta pagando il costo ultimo di questo drenaggio di risorse, purtroppo, sono i contribuenti e saranno le generazioni future, gravate da bilanci pubblici terremotati e da un debito pubblico abnorme.

Da allora le cose sono in parte cambiate, con un progressivo mutamento nel ruolo e nella natura dei partiti politici, oggi ben lontani da quelle organizzazioni strutturate e relativamente coese della Prima Repubblica.
Si osserva altresì una contaminazione progressiva di molti settori delle pubbliche amministrazioni. In un mondo di organizzazioni politiche indebolite, chi è capace di rivestire un ruolo decisivo di coordinamento nella complessa rete degli appalti e delle forniture pubbliche guadagna una sua autonomia, come dimostra la centralità dei faccendiericoinvolti nella vicenda Expo, quelli che “mettono 20 stecche in forno per tirarne fuori 10”.

E diviene la base per promuovere carriere politiche e amministrative legate a doppio filo a incerte sponsorizzazioni politiche. “Io vi do tutti gli appalti che volete se favorite la mia carriera” avrebbe detto il direttore acquisti di Expo in una intercettazione. Capacità di gestione che richiedono di dare oggi a quell’azienda perché quella domani ripaghi, o faccia disciplinatamente posto a un altro partner del cartello e reti di rapporti che permettono di collegare affari diversi con gli stessi protagonisti. E di garantire che quanto pattuito vada a buon fine, sostanzialmente attraverso due meccanismi: da un lato i contatti coi referenti politici, dai quali dipendono nomine, carriere, stanziamenti di risorse; dall’altro –come spiega l’imprenditore Maltauro– dalla loro “buona” reputazione. “L’affidabilità la misuri sulle esperienze. Quando uno ha mantenuto i patti sai che puoi fidarti. Il rischio millantatori c’è sempre, però se sei nel giro impari a distinguere quelli con cui puoi andare tranquillo”.

Una separazione meno netta

La gerarchia politico-amministratore-aziende che governava il sistema delle tangenti della Prima Repubblica sembra oggi meno netta, con figure che possono passare da un ruolo politico a uno amministrativo, o muoversi con autorità in una zona grigia dove, in virtù dei vecchi contatti e della loro credibilità, sono in grado di mettere in contatto, creare opportunità di scambio e in definitiva indirizzare le decisioni sia del politico che dell’amministratore “tecnico”.

Oggi a governare il sistema è il capitale della rete di rapporti, fatto di capacità di elargire benefici e favori come di richiamare all’ordine con il ricatto dei dossier segreti. Sicuramente la politica, il “terzo livello” sempre inseguito e non sempre individuato nelle inchieste, conta, governando le nomine amministrative e le candidature. Ma una politica debole è a sua volta ricattabile, “scalabile” da cordate di affaristi che muovono voti e risorse. È il politico a essere corrotto o è il corruttore a essere diventato politico? Non sempre questa domanda trova una ovvia risposta.

Uscirne non sarà facile, specialmente se non si prende atto della natura ancora “sistemica”della realtà di corruzione svelata dall’inchiesta Expo, interpretando questo “malcostume” come mera somma di condotte individuali. Al contrario, quelle che emergono sono reti ampie, durature e ben strutturate di relazioni che, rispetto a quelle emerse negli anni di Mani Pulite, vedono una semplice redistribuzione di ruoli e risorse, ma proseguono con successo nell’opera di saccheggio dei bilanci pubblici. L’obiettivo di efficaci politiche anticorruzione deve essere lo smantellamento di una realtà di corruzione organizzata, costituito da forme di illegalità “codificata” come quella descritta ancora dall’imprenditore Maltauro: “Il sistema tangenti è sistematico nei grandi lavori. Lì se vuoi entrare devi pagare”.

Le misure da prendere

Occorre dunque agire su diversi livelli. Ben vengano le misure legislative urgenti da anni invocate da tutte le organizzazioni internazionali che si sono preoccupate dell’anomalia italiana: ripristino di una normativa rigorosa contro il falso in bilancio (reato-sentinella che spesso consente ai magistrati di scoprire la sottostante corruzione), riforma dei meccanismi di calcolo dei tempi di prescrizione, introduzione del reato di autoriciclaggio, robustaprotezione dei whistle-blowers(ossia quelli che denunciano l’altrui corruzione, oggi esposti spesso a pesanti contraccolpi personali), introduzione di “agenti sotto copertura” per effettuare test di integrità dei funzionari pubblici (oggi consentita solo per reati di associazione mafiosa e traffico di stupefacenti).

Vi è un ulteriore piano sul quale finora non ci sembra che si siano utilizzati strumenti potenzialmente importanti: ogni episodio di corruzione si accompagna a una manipolazione dei meccanismi di mercato, favorendo l’impresa che paga a svantaggio di altri concorrenti. Queste condotte hanno un indubbio profilo nell’ambito della disciplina antitrust, sia nella dimensione dell’accordo tra impresa e amministratore sia in quello dell’accordo all’interno del gruppo ristretto di chi partecipa ai comitati di affari che riescono a manipolare un intero gruppo di appalti.

In questo senso, le violazioni della disciplina della concorrenza vedono imputabili le imprese, con sanzioni anche molto pesanti, che possono raggiungere il 10 per cento del fatturato. Un disincentivo ancora non utilizzato che ci ricorda come la corruzione non sia solamente un fenomeno di mala-politica, ma anche di mala-economia.
Esistono poi strumenti di individuazione del rischio di corruzione che potrebbero essere utilizzati dalla struttura di controllo che dovrà occuparsi specificamente degli appalti Expo, presieduta dal neo-nominato commissario Anac Raffaele Cantone. Lasciamo perdere gli impalpabili e contraddittori indicatori previsti dal piano nazionale anticorruzione o i controlli formali che da sempre abbondano e che sono del tutto inutili (i corrotti sono particolarmente attenti all’ineccepibilità cartacea delle loro decisioni). Si potrebbe però fare tesoro della ricerca della Commissione europea sulle “bandiere rosse” che sventolano quando è forte il pericolo di corruzione negli appalti pubblici. Ne sono state individuate ben 27 ed è sufficiente un breve riscontro per verificare che molte avrebbero segnalato per tempo le anomalie dei cantieri Expo.

Infine, naturalmente, occorre una piena trasparenza riguardo a procedure, costi, eventuali modifiche e integrazioni, tempi e risultati conseguiti dall’attività contrattuale. Si tratta di un supporto necessario all’attività di controllo amministrativo e giudiziario, certo, ma anche di uno strumento conoscitivo indispensabile per riattivare il più importante canale di controllo dal basso, indebolito col tempo proprio dalla sfiducia generata dagli scandali: la partecipazione, lo scrutinio e il giudizio critico dei cittadini sull’operato dei propri rappresentanti istituzionali.

Bio degli autori

Michele Polo – Ha svolto i suoi studi presso l’Università Bocconi e la London School of Economics. E’ professore Ordinario di Economia Politica presso l’Università Bocconi. Ha trascorso periodi di ricerca a Lovanio, Barcellona, Londra e Tolosa. I suoi interessi di ricerca riguardano l’economia e la politica industriale, l’antitrust e la regolamentazione. Redattore de lavoce.info.

Alberto Vannucci– Alberto Vannucci insegna Scienza Politica presso il Dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa, dove dirige il Master in Analisi, prevenzione e contrasto della criminalità organizzata e della corruzione, organizzato insieme a Libera e Avviso pubblico.

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