OrwellNella libreria di mio padre, trovo nascosto, dietro Stendhal e Bonura, l’ingiustamente trascurato (cioè io l’ho trascurato, inspiegabilmente) George Orwell, figurarsi non sapevo nemmeno che Orwell fosse lo pseudonimo di Eric Blair, soltanto una vaga idea che atteneva al più noto Grande Fratello. Trovo un Oscar Mondadori del 1960, con traduzione di Giorgio Monicelli. È il romanzo forse meno conosciuto di Orwell (Orwell di 1984 o meglio ancora de La Fattoria degli animali), il romanzo è Fiorirà l’aspidistra; qui appaiono del tutto evidenti il ruolo e le convinzioni dell’intellettuale, l’insofferenza in special modo per il pensiero e l’opaca rispettabilità borghese e finanche su certa editoria di allora, parliamo degli anni ‘30. Così Gordon Comstock, il misero gretto inane Comstock, il personaggio principale (veramente sembrerebbe a tutti gli effetti l’unico), traduce a tratti, su un piano grottesco, la medesima defaillance che oggi molti autori rivendicano, in egual misura, con uguale inutilità, purismo e nobiltà di cui si è smarrito il senso, ortodossie noiose in definitiva peraltro facilmente interscambiali o sconfessabili con l’esatto contrario. Oggi.

Comstock invece mantiene le promesse, aborrisce il denaro, quattrini! quattrini!; rifugge il buon posto, il Far Bene qualcosa nella vita, ossessionato da una personalissima rivoluzione del sistema. Tant’è, pregno di precordi forse socialisti e della giovinezza, si impiega come libraio, a due sterline a settimana, procedendo i suoi giorni anonimi e ordinari e confidando segretamente in un futuro da scrittore. Nel frattempo condanna a un castigo eterno l’omologazione, a farla breve è così, dei generi “libri da consumo” (ebbene sì, anche allora), o il già orecchiato modus da parrocchietta, ovvero un circuito stretto di recensioni e riviste di culto dove finire o esser recensiti. È stato profetico ancora una volta. Comstock-Orwell il pioniere. È un romanzo tutto scritto, uh oggi equivale a un anatema, ve ne parlo per consigliarvene la lettura al limite e anche come pretesto per dire: ci hanno fatto credere (a noi autori) che un romanzo tutto scritto te lo tirano dietro con i denti di fuori. Ed è una balla grande quanto una casa. Con questa scusa ci rifilano la medietà, allungata con ragioni di buon senso o di un non meglio identificato mercato che pare faccia riferimento all’umanità più bieca, giacché trattasi di soggetti umani incapaci di intendere oltre una secondaria, neanche si parlasse di crapuloni unti e bisunti, dediti alle invettive, ai rutti, ai ventri mollastri dove indirizzare le peggio volgarità.

Allora penso: abbiamo perciò perso gli scrittori, dimenticati, in luogo di voci monotono spesso. E mi viene in mente, a proposito di Giuseppe Bonura, un suo pezzo memorabile su autori e poeti dimenticati, tra questi citava giganti come Pratolini, Coccioli, Fiore. Per dire, se la letteratura avrà un destino ancora, tolte certe pulzelle con un bel profilo o opinioniste spigliate tutte prese a raccontarci storie di cui ci frega non tantissimo, o quello che vi pare, chi resisterà al tempo, quale verità resisterà sui libri di letteratura un dì? Con Gordon Comstock:  Ché non vedete, se sappiate guardare, come dietro quella soddisfazione e quella contentezza imbellettate, sotto quella banalità panciuta e ridacchiante, non ci sia altro che una disperazione segreta?

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