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Disagio psicologico e follia da guerra: mi chiamo Forrest Gump

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Stupido è chi lo stupido fa, recitava Tom Hanks nei panni di uno atipico soldato americano. Combattente in Vietnam sarebbe rientrato negli Usa ottenendo una medaglia dal Congresso. Forrest Gump rappresenta la favola inversa di un uomo dal quoziente intellettivo ridotto che va in guerra dimostrando ottime doti distinguendosi sugli altri. Ma l’esperienza reale e non cinematografica purtroppo ci insegna altro. Alla fine della Grande Guerra molti reduci portarono dietro di sé patologie che non riuscivano ad esaurirsi. Fu un momento traumatizzante per tanti, nel quale uscirono allo scoperto malesseri rimasti latenti fino a quel momento.

Nel caso di Oreste G., bracciante di San Secondo Parmense nato nel 1893, il cui stato delirante allucinatorio fu associato alle cause disintegratrici della guerra. Fu ricoverato in manicomio visto che  presentava anche sintomi di disintegrazione psichica da inquadrarsi in una possibile forma morbosa schizofrenica. La fame e l’isolamento generavano nei prigionieri di guerra stati di violento regresso psicologico, che spingevano alla rivolta contro tutto e contro tutti e che erano frequenti i casi di alienazione mentale, che si esplicavano sotto forma di ossessioni o complessi di persecuzione.

Nel corso della Prima guerra mondiale, quella contro l’Impero austro-ungarico, non ci sono stati solo morti e feriti sul campo; molti soldati vennero colpiti da una strana sindrome dando segni di squilibrio. Era lo shock da combattimento (shellshock), malattia mentale sconosciuta all’epoca del conflitto. Portati nei manicomi, incontravano psichiatri che non sapevano come affrontare questa patologia e applicavano terapie sbrigative, quasi sempre l’elettroshock, utili però a rispedirli al fronte nel minor tempo possibile. In Italia per indicare i soldati vittime di sindrome da stress postraumatico si usava l’espressione “scemo di guerra”. La guerra moderna avrebbe poi suscitato in gran quantità forme di nevrosi.

Pietro Follesa, reduce di Nassiriya, tradito dall’Arma, perché nessuno aveva provveduto a curare le sue ferite di guerra. Nessuna traccia di sangue o problemi fisici ma un eccessivo disagio psicologico. Ha aggredito il figlio solo perché gli aveva sfiorato una spalla. La guerra in Vietnam sarebbe diventata ben presto uno spartiacque con i conflitti moderni. C’è chi si è spinto a stimare i suicidi tra i veterani fino a 100mila. Durante la guerra del Golfo nei soldati si è scoperta la riduzione del volume dell’ippocampo, la zona della memoria deputata ad elaborare il ricordo traumatico. Durante il secondo conflitto in Iraq e in Afghanistan i soldati che hanno riportato gravi danni psicologici solo negli Stati Uniti sono stati oltre 300mila.

Shock da battaglia o sindrome da scemo di guerra? Troppa omertà sulla questione soprattutto all’interno degli ambienti militari. Lo sviluppo di disturbi mentali connessi o conseguenti al trauma della guerra, ha attraversato tutti i conflitti del ventesimo secolo, caratterizzati da un livello di violenza senza precedenti, mostrando come la modernizzazione della guerra non avesse riguardato soltanto elementi  materiali, produttivi o sociali ma anche le dinamiche psichiche fornendo le basi per la neuropsichiatria di guerra destinata ad avere un ruolo decisivo negli attuali conflitti.

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