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Consob, amnesie alla messa cantata con Scola

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Per la messa cantata dei 40 anni di Consob, il suo re, Giuseppe Vegas, si è trovato quasi solo a piazza Affari. Non c’era il presidente della Repubblica, non c’era il presidente del Consiglio, non c’era neppure il ministro dell’Economia. Eppure l’anniversario di una così importante Autorità di vigilanza avrebbe giustificato una presenza istituzionale ai massimi livelli.

In compenso c’erano i resti degli ex poteri forti e c’era il cardinale arcivescovo di Milano, Angelo Scola, invitato da Vegas addirittura a leggere una sua relazione su etica e affari: mai successo prima, che altri prendessero la parola dopo la relazione annuale del presidente. Qualcuno, a questo punto, si è alzato e se n’è andato. Tra questi, Carlo De Benedetti e suo fratello Franco (“Un organo dello Stato”, ha twittato, “non si fa dare lezioni di etica dalla Chiesa”). Altri presenti hanno ironizzato sul ruolo di “esperto” di Scola, che come Roberto Formigoni e Maurizio Lupi (unico ministro presente: più per Scola che per Vegas) viene dalla cucciolata di don Giussani: “Etica e affari? In Comunione e fatturazione sono esperti, più che di etica, d’affari”.

Vegas, ex viceministro di Giulio Tremonti ed ex senatore di Forza Italia, è rimasto solo in Consob a prendere le decisioni, dopo che i commissari sono stati ridotti da cinque a tre e dopo il termine, nel dicembre scorso, del mandato di Michele Pezzinga. Il commissario superstite, Paolo Troiano, può dire ciò che vuole, tanto in caso di parità il voto del presidente vale doppio. E certe candidature “rosa”, ora ipotizzate, non sembrano proprio cambiare la situazione. Il governo Renzi, che pure di nomine ne ha fatte, di questa sembra non volerne sapere; né dell’auspicabile ritorno a una Consob a cinque (nessun aggravio dei conti pubblici, i costi sono a carico dei soggetti vigilati). Nella sua relazione, Vegas ha criticato la valutazione a prezzi di mercato delle esposizioni, perché penalizza le banche italiane, gonfie di titoli di Stato, privilegiando quelle straniere, che pure sono piene di titoli strutturati “non meno rischiosi”. Peccato che proprio lui abbia chiuso un occhio, e forse anche due, a proposito dei derivati che gonfiavano i bilanci di assicuratori coraggiosi lanciati in azzardati salvataggi (do you remember Unipol-Fonsai?).

Dal Fatto Quotidiano del 7 maggio 2014

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