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Primo maggio: cosa c’è da festeggiare?

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Primo maggio: festa dei lavoratori.

Da Wikipedia, che ne sottolinea anche le origini storiche:  “La Festa del lavoro o Festa dei lavoratori viene celebrata il primo maggio di ogni anno in molti Paesi del mondo per ricordare l’impegno del movimento sindacale e i traguardi raggiunti dai lavoratori in campo economico e sociale.”

A  me pare che oggi, dandogli questa lettura, celebrare il primo maggio sia quasi antistorico. I traguardi raggiunti dai lavoratori da quando è nata l’epoca industriale si stanno assottigliando sempre più. Lo Statuto dei Lavoratori in Italia sta diventando un peso insopportabile ed i doveri stanno ormai avendo il sopravvento sui diritti. Del resto, in questa epoca di crisi, quello cui si mira da parte di governo e Confindustria è creare sì posti di lavoro ma anche avere sempre più la mano libera per fare e disfare contratti.

Ma al di là di questa considerazione, da difensore dell’ambiente naturale, mi pongo un altro problema altresì ben grave: lavorare, va bene. Ma per produrre cosa? Per raggiungere quali risultati? Non sarebbe il caso di rivedere completamente la nostra visione del mondo e pensare ad un futuro in cui si lavori meno, per produrre beni realmente necessari, per guadagnare il minimo indispensabile ed acquistare appunto ciò che realmente necessita, quando non auspicabilmente produrlo in proprio?

Il sociologo Zygmunt  Baumann, acuto analizzatore del nostro assurdo modo di vivere, ama ricordare una barzelletta dell’epoca del colonialismo europeo: “Mentre passeggia tranquillo per la savana, un inglese che indossa gli irrinunciabili simboli di un compìto colonialista, con tanto di elmetto di ordinanza, s’imbatte in un indigeno che russa beato all’ombra di un albero. Sopraffatto dall’indignazione, per quanto mitigata dal senso di missione di civiltà che lo ha portato in quelle terre, l’inglese sveglia l’uomo con un calcio, gridando: “Perché sprechi il tuo tempo, fannullone, buono a nulla, scansafatiche?”. “E cos’altro potrei fare, signore?”, ribatte l’indigeno, palesemente interdetto. “È pieno giorno, dovresti lavorare!”. “Perché mai?”, replica l’altro, sempre più stupito. “Per guadagnare denaro!”. E l’indigeno, al colmo dell’incredulità: “Perché?”. “Per poterti riposare, rilassare, goderti l’ozio!”. “Ma è esattamente quello che sto facendo!”, aggiunge l’uomo, risentito e seccato.

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